Copertina 7

Info

Anno di uscita:2005
Durata:43 min.
Etichetta:Psychedoomelic
Distribuzione:Brainstorm

Tracklist

  1. FAR AWAY FROM SUNRISE
  2. SYSYPHUS’ DOWNHILL RIDE
  3. THAT’S WHY
  4. SOIL
  5. THE VERY SAME
  6. 0050
  7. ORNAMENTS OF HEAVEN
  8. INSIDE GARDEN
  9. I SLEEP

Line up

  • Gabor Holdampf: vocals
  • Sandor Fuleki: guitar
  • Andras Greff: guitar
  • Ferenc Marek: bass
  • Szabolcs Szolcsanyi: drums

Voto medio utenti

Tempo di full-length per gli Ungheresi Wall of Sleep, dei quali mi ero già occupato all’uscita del loro Ep “Outlook the all”(2003), discreto mini sempre per la Psychedoomelic. Come già detto in quell’occasione i WoS derivano per tre quinti dai Mood, la più popolare doom-band magiara degli anni ’90, e si completano con il chitarrista Greff, coinvolto anche negli stoners Convoy da me recensiti tempo fa, e con un drummer dal nome impronunciabile ma ben conosciuto nel circuito heavy della nazione est-Europea.
Il genere proposto è un classic-doom dai connotati melodici, nel quale è facile individuare chiare influenze sia settantiane riferite ai soliti Black Sabbath che più recenti ed indirizzate verso l’epicità dei Candlemass. La band compensa comunque una limitata originalità con un songwriting di buon gusto, sufficentemente vario e sicuramente migliorato rispetto all’Ep precedente.
Eleganti e ben riusciti i mid-tempo oscuri come “Far away from sunrise” o “The very same”, che possiamo inserire nel filone dei vari Abdullah, Voodooshock, Orodruin, grazie ad austere melodie accattivanti e poco invadenti, mentre l’aggressività heavy di “That’s why” e la sinuosa “Sysyphus downhill ride”, dal bell’andamento liquido ed avvolgente, presentano quelle caratteristiche che riconosciamo in tutte le produzioni del caposcuola Scott Weinrich, analogia acuita dall’impostazione vocale del cantante Gabor Holdampf, una specie di “Wino” dei Carpazi.
Discreti risultati anche nei temi più rallentati, vedi le dark-ballad “Soil” e “I sleep” che pur viaggiando sul filo della monotonia, sempre in agguato in questo genere, riescono a contenere il proprio sviluppo in termini accettabili e, specie la seconda, anche a fornire una certa valenza ipnotica.
Il vertice dell’album è comunque l’eccellente “Ornaments of heaven”, testimonianza del fatto che i WoS hanno compiuto passi da gigante in merito alla stesura delle canzoni, questa infatti è un piccolo gioiellino per come unisce riffs adamantini ed atmosfera languida e crepuscolare, lanciandosi poi nel finale in un’accellerazione puramente Sabbathiana.
Una serie di ottime doom-songs, alle quali manca un pizzico di spregiudicatezza in più per fare di questo “Slow but not dead” un lavoro realmente indispensabile. Resta però un ascolto doveroso se si segue attentamente la rinnovata scena doom, ed altrettanto se legati indissolubilmente ai primi storici albums dei Black Sabbath.

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