Sebbene sia consapevole che limitare le considerazioni su “Grand Morbid Funeral” esclusivamente all’ingaggio di Nick Holmes come cantante al posto di Mikael Akerfeldt nella rinnovata incarnazione dei
Bloodbath non sia un comportamento propriamente corretto, mi rendo conto che la
querelle legata a questo tema riempirà le pagine – elettroniche e cartacee – dei giorni a seguire.
Dopo aver ascoltato più volte “Grand Morbid Funeral” mi trovo ad accodarmi a coloro che ritengono inappropriata la scelta del cantante dei Paradise Lost.
Il suo apporto all’economia dell’album è molto limitato; il growl (se di growl propriamente detto si può parlare) risulta poco incisivo, se non propriamente anonimo, quasi il buon Nick si limitasse a “leggere” i testi piuttosto che interpretarli con convinzione.
Non so se questo sia dovuto al fatto che il registro vocale di Nick Holmes non rientri più nei canoni death metal da un ventennio o perché non completamente in grado di calarsi nel
physique du role richiesto per essere il frontman dei Bloodbath , ma a conti fatti lo stile scelto per le linee vocali è il punto meno convincente di “Grand Morbid Funeral”.
Rimango della personalissima convinzione che se i Nostri avessero ingaggiato un singer più in linea con quella che è la tradizionale Scuola Svedese, l’album avrebbe avuto non una, ma due marce in più.
Ma probabilmente non lo stesso riscontro mediatico…
Detto questo l’ultima fatica dei Bloodbath è morbosamente old school, pieno zeppo di riferimenti, citazioni ed ammiccamenti a i vari Entombed, Autopsy, Dismember, Vomitory della prima ora mettendo da parte i riferimenti ai Morbid Angel che invece caratterizzavano il precedente “The Fathomless Mastery”.
Malignamente mi vien da pensare che sia Anders Nyström che Per Eriksson morissero dalla voglia di ritornare a suonare in maniera così sporca e cattiva, in maniera così
diversa, ma contemporaneamente convincente, dalla sua attuale proposta musicale.
L’album è molto, molto convincente, per nulla noioso e piatto, valorizzato da una produzione praticamente perfetta e calibrata che riesce nell’intento di coniugare potenza e marciume; la vera carta vincente giocata dai Bloodbath in questa mano.
“Grand Morbid Funeral” è uno di quei pochi lavori in cui ciascuno di noi può trovare la propria canzone favorita; si può scegliere la ‘dismemberiana’ operner “Let the stillborn come to me”, “Unite in pain” che sembra provenire direttamente dalle registrazioni di “Left Hand Path”, “Anne” dal mood segaossa, o l’apocalittica titletrack.
Rimane la curiosità di vedere come si comporterà Holmes in sede live con il repertorio dell’epoca Dan Swanö e Mikael Akerfeldt, ma nel frattempo son convinto che quest’album entrerà in molte classifiche di fine anno.