Lo so già cosa state pensando … ecco qua l’ennesima gilda di nomi celebri, allestita appositamente per accendere le fantasie (e le diffidenze …) degli
aficionados, basata più sul “mestiere” degli interpreti che su una loro concreta urgenza espressiva.
Ebbene, se è innegabile che nell’alleanza tra
Michael Sweet, una delle grandi voci dell’
hard rock melodico, e
George Lynch, la chitarra più carismatica e seminale del
class metal (a cui si aggiungono James Lomenzo e Brian Tichy, non proprio dei
beginners …), di esperienza e scaltrezza se ne rileva parecchia, è anche necessario sottolineare quanto questo “Only to rise” fornisca agli estimatori di Stryper, Dokken e Lynch Mob esattamente quello che si “aspettavano” dal progetto, riuscendo, però, al contempo a non far apparire tale circostanza uno sterile e scientifico condensato di colossi della scena.
A “sorprendere”, dunque, è la disinvoltura e la tensione emotiva con cui i nostri riescono a far convivere la loro prestigiosa “storia individuale” in un crogiolo sonico equilibrato e avvincente, per il quale, escludendo qualche abbastanza trascurabile momento di “esitazione”, si può tranquillamente parlare d’imperioso coinvolgimento emotivo.
Quando un’ugola celestiale come quella di Michael e il caratteristico e funambolico stile esecutivo George si amalgamano alla perfezione in una linea melodica contagiosa come quella di “The wish”, anche i più sospettosi finiranno irrimediabilmente per essere conquistati e sono certo che i
fans dell’
hard-blues ad alta gradazione non riusciranno facilmente a contenere l’entusiasmo per “Like a dying rose” e “Rescue me”, intrise di un
groove caldo e avvolgente (inestimabile patrimonio di una certa
Cattiva Compagnia), o ancora per la vibrante “Recover”, con uno Sweet autore di una prestazione maiuscola, marchiata a fuoco da un falsetto da manuale della fonazione modulata.
Se cercate, poi, un prototipo di
power-ballad capace di pungolare la componente romantica del vostro animo senza doverlo necessariamente sdilinquire, eccovi servite “Love stays” e “Me without you” (il
break centrale è spettacoloso!), due “robette” da vigorosi brividi d’approvazione, mentre a chi persegue raffinatezza ed enfasi consiglio l’ascolto attento di “Time will tell”, un’altra sontuosa interpolazione tra enormi personalità artistiche.
“Divine” e “Hero-zero” associano con discreta efficacia nerbo e variopinte armonizzazioni (vagamente alla Enuff Z'Nuff), “September” sconta una “fastidiosetta” allusione Maiden-
iana (“Wasted years”), fortunatamente immersa in un clima generale piuttosto intenso e molto competente, e la stessa epicità esotica di “Strength in numbers” risulta un po’ di maniera, nonostante un
chorus da encomio.
Una grintosa e ficcante
title-track pone un nobile sigillo su un disco di grandissimo valore, vicino al concetto di
perfezione assoluta fatalmente sollecitato allorché si ha a che fare con autentici
leader del settore come questi … la aspettiamo con fiducia per la prossima volta … perché ci sarà, vero?