In piena era Speed/Thrash, nel 1982, a Los Angeles, prendeva forma uno degli ennesimi ensemble dell’underground dedito alla causa dell’irrobustimento e della velocizzazione del Metal, gli
Abbatoir.
La line-up originale vedeva
Mel Sanchez (basso),
Mark Caro (lead Guitar), Rawl Preston (voce),
Juan Garcia (rhythm guitar) e
Robert Wayne (batteria), a cui si aggiunse John Cyriis al microfono al posto di Preston, che però se ne andrà via a breve per formare gli Agent Steel, e il quale verrà seguito qualche tempo dopo anche da Garcia (futuro Evildead). Sarà poi
Steve Gaines a ricoprire il ruolo di singer sostituendo Cryiis.
Nel 1985 gli Abbatoir, dopo un paio di demo ed un singolo, daranno alle stampe, tramite la
Combat Records, il loro esordio discografico: “
Vicious Attack”.
Ricapitolando, la formazione con cui i californiani incisero questo primo full-length era composta da:
Juan Garcia (rhythm) e
Mark Caro (lead) alle chitarre,
Robert Wayne alle pelli,
Steve Gaines al microfono e
Mel Sanchez al basso.
Ciò che proponevano i cinque thrashers con “
Vicious Attack” era uno Speed/Thrash molto tagliente ed irruento, caratterizzato da una forte attitudine
in your face garantita dalle vaste influenze Punk che permeavano tutte le tracce. Durante l’ascolto si possono avvertire anche numerosi echi della NWOBHM, in particolar modo dei Motorhead per quanto riguarda le ritmiche veloci e ridondanti, con il basso di
Mel Sanchez ben in evidenza e i riff di chitarra dal mood Rock/Blues sparati alla velocità della luce, che rimandano molto all’era di “Ace of Spades”, “Overkill” e “Bomber”, giusto per intendersi. Tant’è che a metà disco è presente anche una cover piuttosto muscolare di “
Ace of Spades”. Mentre la voce di
Steve Gaines si configura su tonalità molto alte con varie parti urlate e feroci, senza disdegnare soluzioni melodiche e refrain che pescano a piene mani dall’Hard Rock, si pensi per esempio a “
The Living and the Dead” o alla title-track. È molto forte anche l’influenza dei Metallica di “Kell ’Em All”, come si evince sin dall’opener “
Scream From The Grave”, che pare essere un condensato tra i Motorhead e i Four Horsemen, con l’aggiunta di acuti incandescenti come appreso dalla tradizione Heavy di gruppi quali Judas Priest, Saxon, Iron Maiden, ecc.ecc.
La produzione, sulla quale non si hanno molte informazioni, è decisamente grezza, un po’ caotica e a tratti ovattata, ma non al punto da non lasciar godere del prodotto; anzi, a mio modo di vedere queste vecchie uscite trovano forza anche in tale tipologia di sound “artigianale”, in grado di conferire un tocco più violento e “reale”.
Tutto ciò che hanno da dire gli
Abbatoir lo concentrano in soli otto brani per una durata di ventisette minuti scarsi, perlopiù canzoni veloci, il che fa sì che l’album scorra con grande facilità. A onor del vero non tutte sono al solito livello qualitativo, le migliori del lotto sono rappresentate da “
Scream From The Grave”, “
Vicious Attack” e “
Stronger than Evil”, e quest’ultima è probabilmente la traccia più bella che abbiano scritto; un pezzo Thrash adrenalinico, cattivo, ricco di cambi di tempo al fulmicotone che non può lasciare indifferenti. Risulta su un ottimo livello anche la conclusiva “
Game of Death”, altro pezzo diretto e senza tanti fronzoli. Appaiono invece un po’ mosce e forse leggermente fuori sintonia con il platter la già citata “
The Living and The Dead”, l’altalenante “
The Enemy” che non riesce a decollare, e “
Don’t Walk Alone”.
I testi trattano argomenti di violenza come è usuale fare nel genere, a partire dal tema degli zombies con ”
Scream From The Grave”, maniaci cannibali e assassini di cui viene imputata la responsabilità alla società (“
Vicious Attack” e “
Don’t Walk Alone”), ambientazioni di guerra (“
The Enemy”), scenari apocalittici in “
The Living and the Dead”, o il satanismo bellico di “
Stronger than Evil”; e per finire non mancano narrazioni di inquietanti torture come quella di “
Game of Death”.
Nel complesso "
Vicious Attack" è un buon full-length, ma risente dell’ancor poca esperienza della band e di una certa carenza di originalità, la quale si palesa con i troppi richiami alle vecchie glorie. È da riconoscere però che ha dalla sua una grande grinta, muscoli d’acciaio e tanta tanta passione; ingredienti che riescono in parte a sopperire a questi fattori… inoltre il grande carisma del frontman, unito ad una serie di riff e brani davvero azzeccati, riesce a renderlo un album che lascia il suo segno.
Peccato che con il suo successore (l’ultimo di inediti che abbiano registrato): “The Only Safe Place” (1986), non riuscirono a fare il passo evolutivo che avrebbe potuto farli decollare…tutt’altro, andarono incontro ad uno scioglimento destinato a durare svariati anni.
Si tratta di un prodotto che merita di essere recuperato, poiché al suo interno si trova incisa una grande quantità di genuino entusiasmo, di fronte al quale un metalhead non può rimanere impassibile.
Recensione a cura di DiX88