Copertina 9

Info

Past
Anno di uscita:1989
Durata:52 min.
Etichetta:Geffen

Tracklist

  1. RIOT
  2. SEX CHILD
  3. VALLEY OF THE KINGS
  4. JELLY ROLL
  5. BLUE MURDER
  6. OUT OF LOVE
  7. BILLY
  8. PTOLEMY
  9. BLACK-HEARTED WOMAN

Line up

  • John Sykes: guitars, lead vocals
  • Tony Franklin: bass, backing vocals
  • Carmine Appice: drums, backing vocals

Voto medio utenti

Che cosa avesse in mente David Coverdale quando decise di smantellare la formazione da sogno del riuscitissimo e vendutissimo “1987” non è dato sapere. L’unica risposta che negli anni mi è sembrata meno sconclusionata di altre, nelle mie infinite e solitarie elucubrazioni musicali, resta il conflitto di ego che immancabilmente si sarà venuto a creare quando all’interno di una band si trovano a coesistere personalità troppo ingombranti.
Forse quella di chiudere nella stessa sala prove Coverdale e John Sykes è una di quelle situazioni/bomba, che alla deflagrazione dello splendido fuoco d’artificio fa seguire in modo sproporzionato troppe macerie e altrettanti feriti. Troppo piccolo uno studio di registrazione per contenere entrambi. Meglio per tutti e due virare su nuovi compagni d’arme; uno per il prosieguo in controllo totale dell’avventura Whitesnake, l’altro per la genesi di una creatura tutta sua, ossia l’eccezionale meteora di fine anni ’80, che risponde al nome di “Blue Murder”.
John Sykes, autentico portento delle sei corde, è quindi libero di spiccare il volo da protagonista assoluto, dopo aver condiviso il palco con alcuni gruppi minori e un paio di mostri sacri del genere: il già citato Coverdale (che lo aveva reclutato inizialmente per riregistrare le parti di chitarra di “Slide it In”, per una nuova versione da immettere sul mercato americano) e l’indimenticabile Phil Lynnott (che lo vuole accanto a sé per una delle ultime incarnazioni dei Thin Lizzy e per il suo debutto solista), del quale il biondo chitarrista di Reading non perderà mai occasione di sottolineare il debito d’ispirazione e crescita maturato durante la collaborazione.
Sykes sperimenta varie soluzioni e diverse formazioni prima di trovare la cosiddetta “quadra” della sua nuova band. Il progetto parte con Cozy Powell alla batteria, l’ottimo Tony Franklin al basso (già nei The Firm, niente di meno che con sua maestà Jimmy Page) e Tony Martin alla voce, sostituito in seguito, ma non in modo definitivo, da Ray Gillen prima e Mark Free poi.
Alla fine di prove, rotazioni e sostituzioni, il gruppo prende forma (anche se solo sulla carta) come trio: Sykes, oltre alla chitarra, si prende l’onere di sostenere anche il ruolo di cantante; al basso resta in forza Frankiln; allo sgabello della batteria si accomoda il maestro Carmine Appice, un musicista con un curriculum spettacolare e dotato di un’innegabile maestria. Non che batterista di una notevole potenza, come ho avuto modo di apprendere ed apprezzare all’epoca dell’acquisto di questo vinile. Trio da favola, insomma, di quelli che mi piace immaginare e comporre a tavolino, ma che nella sostanza si avvale piuttosto largamente di un quarto elemento, il tastierista Nik Green. Questi non si limita a colorare qua e là i pezzi, quanto piuttosto a caratterizzare in modo deciso il suono dei brani, più d’atmosfera o magniloquenti che siano, con tappeti d’archi o con synth più corposi e sfavillanti, a seconda del mood delle canzoni.
L’album omonimo di debutto esce nel 1989 per Geffen Records, prodotto da Bob Rock e registrato da Mike Fraser (in cima alla mia classifica di preferenza per questo ruolo da sempre, forse per sempre).
Insomma, le premesse per il killer album ci sono tutte.
“Blue Murder” è uno di quei dischi che rappresentano per me oggetto di culto, non soltanto per il fondamentale e imprescindibile contenuto artistico, ma per tutta una serie di dettagli che si vanno ad incastrare in un puzzle perfetto. Ad esempio, ne ho sempre amato la copertina notturna, con il logo ridondante a dominare su un oceano notturno, a stento illuminato dalla luce lunare. Così come la foto della retrocopertina, con i tre in abiti pirateschi a manifestare una dichiarazione d’intenti nel loro atteggiamento guascone: si prospetta un arrembaggio ai timpani, si sottintende una voglia e una capacità di suonare rock duro sì, tuttavia straricco di fronzoli (come i ricami degli abiti “di scena” scelti) e di autocompiacimento. Un disco da corsari.
Gli elementi che ne fanno un grande LP sono tanti e più sostanziali, vediamo un po’ con ordine.
Una delle prime cose che possono balzare agli occhi è la lunghezza dei brani. Può essere un dettaglio, ma ascoltato e riascoltato il disco, si capisce che si tratta di un tratto distintivo della musica dei Blue Murder: le canzoni non si esauriscono in un “tre minuti - strofa - ritornello - assolo - strofa”. C’è voglia di suonare, di raccontare e di raccontarsi, indugiando senza paura in lunghe intro, in ripetizione di cori anthemici o in copiosi, fantastici assoli di chitarra, che l’axe man è finalmente libero di suonare all’impazzata e di inserire a suo piacimento (libertà negata, com’è noto, all’interno dei Whitesnake, dove Sykes era spesso bacchettato e frenato dal “padrone di casa”).
Ecco il menu proposto: brani di lungo respiro, oltre che ispiratissimi, d’impatto martellante, eseguiti da tre fenomeni, il tutto condito con tanta, tantissima chitarra letteralmente straripante nel suono (con gran merito di Rock e Fraser) e nelle partiture.
E aggiungo: Sykes si rivela un signor cantante. A volte sembra dare fondo a forze e fiato per raggiungere alcune note e per imprimere spinta all’aria dei polmoni, ma la bellezza della musica sta anche nelle lievi imperfezioni, non trovate? In particolare nelle formazioni trio, può trasparire quella sensazione di sforzo o lieve vuoto nelle esecuzioni, come se i tre corressero da una parte all’altra dello studio o da uno strumento all’altro pur di raggiungere l’obiettivo di ovviare ad un’assenza di un elemento. Ma, divagazioni sui gusti personali a parte, dicevo che Sykes è davvero un’ottima sorpresa dietro al microfono e incredibilmente non fa rimpiangere i grossi nomi coinvolti a inizio progetto.
Ho detto della squadra di ottimi tecnici di sala, ho detto e ribadito del talento enorme di John Sykes, che permea ogni solco di questo vinile, ma gli applausi a scena aperta vanno divisi con una sezione ritmica originale ed anticonvenzionale. Dalle prime note dell’inziale “Riot” si può riconoscere ed apprezzare il marchio di fabbrica del basso fretless di Tony Franklin, sinuoso e potentissimo, che suggella le tracce rincorrendo batteria e chitarra, arricchendo di accenti e suoni inusuali rispetto al contesto di base hard rock, così come già aveva sperimentato nei The Firm pochi anni prima. Davvero unico.
E dulcis in fundo, come non stamparsi un sorriso in faccia per tutta la durata del disco, ascoltando il tocco di Carmine Appice? Il batterista italoamericano, caposcuola (quasi) al pari di Keith Moon e John Bonham, versatile, agile e potentissimo, si muove con assoluta disinvoltura passando dai ritmi più indiavolati ("Black-Hearted Woman") a quelli più leggeri e multiformi ("Blue Murder", "Billy"), marcando con colpi d’immensa energia intro e bridge di quel capolavoro di "Valley of the Kings", terza traccia del disco.
Lo sforzo promozionale ad album e band da parte della Geffen fu notevole. E lo ammetto: io stesso avrei scommesso su questo super-gruppo ad occhi bendati. Di sicuro, anche solo per gioco, se lo paragono al coevo “Slip of the Tongue” dei Whitesnake, trovo che il dislivello qualitativo in favore di “Blue Murder” sia impietoso (domandiamoci, con tutto il rispetto per Coverdale, chi abbia scritto il 90% di “1987”).
Eppure il giocattolo si rompe subito, dopo un tour di aspettative e grandi speranze: già nel successivo e pur bellissimo “Nothin’ but Trouble” la formazione è tutta rivoluzionata, con Appice e Franklin fuori dai giochi (relegati al ruolo di ospiti del disco e liquidati fra i ringraziamenti. Peccato).
Per questo, istintivamente, sono portato a considerare quest’ album di debutto omonimo, come l’unico prodotto dal trio, mentre tutta la musica successiva la accosto alla carriera solista di Sykes (che continuerà a scrivere gran bei dischi, senza, a mio parere, eguagliare in pieno la magia di questo “unicum”, che è davvero inarrivabile).
C’è poco da aggiungere su questo disco, a mio modesto avviso, perfetto. Se amate l’hard rock di classe, se non siete mai sazi di chitarre sature e di grandi assoli, se vi esaltante alle bordate di una sezione ritmica da manuale, allora dovete fare vostro “Blue Murder”: per me si tratta di una piccola gemma, una di quelle pietre il cui raro valore merita un posto nella storia del rock, che siamo qui a ricordare e a provare a raccontare.

A cura di Ennio “Ennio” Colaninno

Recensione a cura di Ghost Writer

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 26 nov 2022 alle 17:17

Consumati i solchi, trio fenomenale, classe sopraffina 9 meritatissimo

Inserito il 02 ago 2022 alle 16:34

D I S C O N E .

Inserito il 09 lug 2015 alle 16:25

Grazie, grazie davvero. Tutto più semplice quando si scrive di dischi di qualità eccelsa come questo, ovvio. All'epoca, subito dopo "Riot" rimasi a mascella spalancata per un bel po'. Avevo 18 anni, per la miseria. Ora che ne ho 44 lo ascolto con mio figlio mentre giochiamo. Le magie della musica ragazzi.

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