Ci sono alcune band che proprio non ce la fanno a stare al passo coi tempi. Rifiutano tutto ciò che è innovazione, una buona registrazione, una copertina platinata, un’immagine costruita a tavolino, e si rifugiano in una nicchia (in verità mooolto affollata) dove insieme a propri simili mantengono viva la fiamma del metal delle origini, quando erano l’istinto e l’attitudine a far muovere i primi passi a sbarbatelli che avevano preso da poco gli strumenti in mano. E a supportarli ci sono anche un tot di etichette, come ad esempio la Hell Headbangers Records, che continua ad inviarci promo di gruppi dediti anima e corpo alla riscoperta degli eighties. Tra questi figurano sicuramente i
Bonehunter, che fin dalla loro biografia, dal loro logo e dalla loro immagine ci tengono a mettere ben in chiaro come stanno le cose.
Ascoltando di sfuggita l’album si ha quasi l’impressione che si possa trattare di qualche demo dei
Bathory recuperato in qualche polveroso archivio. In realtà così non è. Dopo una serie incredibile di EP, demo e split pubblicati in soli quattro anni, i finlandesi arrivano al debut album con una formula che prende, sì, a piene mani dalla proposta di
Quorthon, ma che miscela il tutto con l’irriverenza thrash dei primissimi
Sodom e l’attitudine e i riff punk di una band come i
G.B.H..
Registrato in soli due giorni nella Hellhouse, quindi con una produzione rigorosamente e volutamente lo-fi, infarcito di cliché e metal words a più non posso, con una copertina scarna e oldies, “Evil triumphs again” farà la felicità di tutti quegli ascoltatori, e ne siamo tanti, che amano ancora questo tipo di sonorità old school. Come già detto nella
recensione dei
Deathhammer, qui il grezzume e la spontaneità sono di casa, quindi se le vostre orecchie sono abituate a suoni finti e nitidi, ancora una volta l’invito è quello di cercare altrove. Qui non ci sono ricamini, non ci sono assoli neoclassici, non ci sono coretti gay, c’è solo tantissima attitudine, come nel caso dei loro colleghi norvegesi (i Deathhammer, appunto).
Chiamatemi dinosauro, chiamatemi ottuso, chiamatemi come preferite, ma io quando ho tra le mani dischi del genere godo. “Devil metal punks” è già un piccolo anthem, “Burning skulls” e “Black shrine” sono l’esaltazione dei cliché a noi cari a cui facevo riferimento prima. La titletrack mette il sigillo in maniera impeccabile ad un disco che non è sicuramente un masterpiece del genere, ma mantiene assolutamente alto il livello di un certo tipo di metal, e a noi sta più che bene così. Se amate questo tipo di sonorità tenete d’occhio la Hell Headbangers Records perché ci sta deliziando con tante piccole chicchette…
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