Difficile, difficile da recensire il nuovo
Royal Hunt. Non so se lo ricordate, ma il rientro in pianta stabile di D.C. Cooper nel combo danese aveva suscitato in me
sentimenti misti di gioia, commozione, erezione. Alla terza prova dal suo rientro, però l'ammeregano mi comincia a cantare un filo autocitandosi, forzando un pò il suo timbro lievemente nasale (ascoltate l'iniziale "
So Right So Wrong", qui in calce) e risultando a volte non dico sgradevole, ma di certo meno epico del passato. Per fortuna, però, i lati positivi in questo "
Devil's Dozen" superano quelli negativi: le composizioni non saranno delle più ispirate, si autocitano in continuazione, ma la band è forse nella miglior formazione di sempre (grazie anche al nuovo innesto
Andreas "Habo" Johansson dietro le pelli, di casa nei Narnia). I brani che funzionano, degli otto a nostra disposizione, grazie al cielo ci sono, e penso al bellissimo refrain di "
May you never walk alone", all'accoppiata epica "
Heart on a Platter"/ "
A Tear in the Rain" (quest'ultima è forse la mia preferita del lotto, almeno al momento), o la conclusiva e potente "
How do you Know", che odora di Europe on steroids.
Cosa non convince, allora? Beh, secondo me il fatto che, al netto di arrangiamenti fatti davvero bene (il mastermind
Andre Andersen lascia ampio spazio a tutti per splendere, evitando dispotiche iniezioni massicce di tastiere a tutti i costi ma riducendo forse troppo la quota neoclassica nell'equazione), in fase compositiva "Devil's Dozen" sia un album appena sufficiente, con canzoni che potrebbero somigliare fin troppo a quelle del passato recente, e che si salvano giusto per accorgimenti in fase di abbellimento (come ad esempio le suggestioni folk di "
Riches to Rags", brano altrimenti non imprescindibile).
Insomma: il disco c'è e funziona, soprattutto per gli amanti dei Royal Hunt. Ma da loro ho decisamente sentito di meglio. Piacevolucchio.
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