Thin Lizzy - Vagabonds of the Western World

Copertina 10

Info

Past
Anno di uscita:1973
Durata:40 min.
Etichetta:Decca Records

Tracklist

  1. MAMA NATURE SAID
  2. THE HERO AND THE MADMAN
  3. SLOW BLUES
  4. THE ROCKER
  5. VAGABOND OF THE WESTERN WORLD
  6. LITTLE GIRL IN BLOOM
  7. GONNA CREEP UP ON YOU
  8. A SONG FOR WHILE I'M AWAY

Line up

  • Phil Lynott: vocals, bass
  • Eric Bell: guitars
  • Brian Downey: drums

Voto medio utenti

Legend Of A Mind. E’ il titolo di una canzone dei Moody Blues, ma è anche il titolo di una grandissima antologia che fotografa un periodo tra i più (se non IL più) entusiasmanti della musica Rock, stiamo parlando della scena anglosassone dal 1967 al 1974 fatta non solo dalla sacra triade Deep Purple, Led Zeppelin e Black Sabbath, ma da una infinità di band che facevano delle parole psichedelia e progressivo il loro marchio di fabbrica. Oltre che da bands formidabili, questa scena aveva le sue etichette discografiche ormai consegnate alla leggenda e quella che racchiudeva nel periodo il maggiore fermento era sicuramente la DECCA, la quale fondò nel 1966 la prima label ufficiale dedita alla musica “progressive” chiamata DERAM. Questa label ha avuto il merito di lanciare sul mercato discografico alcune delle menti più geniali della storia della musica moderna oltre che di alcuni tra i dischi più importanti di tutta la storia del Rock. Tra queste bands c’erano gli Irlandesi Thin Lizzy, e tra questi dischi c’è il loro terzo disco, Vagabonds Of The Western World. All’epoca i Thin Lizzy avevano raccolto già un discreto successo avendo due dischi alle spalle e un singolo di successo come Whiskey In The Jar che mischiava sapientemente il classico blues a richiami della musica popolare celtica. In quel tempo i Lizzy non erano ancora la formazione a quattro con le famose doppie chitarre che avrebbero influenzato chiunque fosse venuto dopo di loro, ma bensì un trio formato dallo storico batterista Brian Downey, il grandissimo e sottovalutatissimo chitarrista Eric Bell e lui, il ragazzone irlandese dalla pelle scura Phil Lynott, ovviamente alla voce e al basso. In questo disco inizia anche la collaborazione con Jim Fritzpatrick per quanto riguarda lo splendido art work.
Seppur ancora lontano dai Thin Lizzy dell’età d’oro, quelli di Jailbreak, Johnny The Fox, Bad Reputation, ma anche di Thunder And Lightning in quanto ad attitudine hard/metal, questo disco costituisce un tassello unico nella discografia della band nonché un crocevia importantissimo per tutta la musica dura da quel momento in avanti e personaggi del calibro di Steve Harris o Greg Lindstrom (dei Cirith Ungol) lo inseriscono frequentemente nei loro dischi di riferimento giovanili. Cosa lo rende cosi speciale? Innanzi tutto la grande varietà al suo interno, non una song simile all’altra. Poi la voglia di inserire elementi nuovi e sperimentare, come voci narranti o parti recitate o linee armoniche inusuali (per l’epoca). Infine le straordinarie prestazioni dei singoli elementi della band, veramente al TOP della forma. Ma cerchiamo di addentrarci nel dedalo sonoro creato dagli Irlandesi. Mama Nature Said è letteralmente spettacolare con quell’incedere di chitarra slide e quel ritmo tribale che ne sottolinea il messaggio ecologico e risulta impossibile non essere pervasi da una sensazione di gioia, ma sempre con un forte retrogusto amaro, nella strofa interpretata da una delle voci più particolari e significative del panorama della musica tutta, quella di Lynott, l’anima romantica di Jimi Hendrix. The Hero And The Madman è un’autentica opera d’arte, unica nel suo genere, dove la voglia di sperimentare emerge in questa favola dal sapore western e dal contesto tolkeniano. Le parti recitate si fondono perfettamente col tappeto di suoni costruito dai tre fino ad arrivare al ritornello dissonante, ma la magia si raggiunge nella seconda parte dove i nostri aggiungono addirittura voci fuori campo che duettano col narratore che ci portano allo stacco acustico: prima un velo e poi un crescendo di basso e batteria, poi silenzio e poi la catarsi; parte uno degli assoli di chitarra elettrica più belli di sempre. Bell costruisce in poco meno di un minuto una partitura da brivido che tanto somiglia ad un fulmine che attraversa da una parte all’altra il cielo in una notte tempestosa, veramente una roba pazzesca. Da sentire migliaia di volte e rimanere sempre a bocca aperta. Slow Blues ricalca il solco tracciato dal Dirigibile e i nostri qui riescono a dare il meglio giocando di fioretto, ma la furia è stata tutta risparmiata per la traccia successiva. L’inno The Rocker, uno dei più grandi tributi mai fatti alla chitarra elettrica e l’assolo di Bell anche in questo caso è da leggenda e andrebbe studiato all’università, ma è grande anche la ferocia di Downey dietro i tamburi e un Lynott perfettamente a suo agio anche nelle linee più aggressive e nel calarsi nel vestito costruito ad arte dal testo della canzone. Si chiude il Side A e già potrebbe bastare. Il Side B si apre con la title track che è semplicemente il pezzo più bello di tutto l’album dove appaiono arrangiamenti melodici affascinanti e trascinanti e sopratutto la grandiosa e immortale prova canora di Lynott che ci regala un trattato di se stesso in questo brano mettendoci tutto il suo romanticismo, tutta la sua malinconia, ma anche una profondità da spavento che trova la sublimazione nel verso:” The kind of eyes that say "I do" eyes”, non ci sono parole veramente, solo ascoltare e inginocchiarsi di fronte a tale inclinazione d’animo. Giungiamo poi a Little Girl In Bloom, ballad tristissima con un incedere molto ricercato, mentre Gonna Creep Up On You è un altro diamante del disco. Forse il pezzo più duro, che ha la caratteristica di anticipare l’attitudine punk dei primi Maiden, credo possa essere considerato come uno dei punti di riferimento di tutto il movimento Inglese a venire. Si chiude con A Song For A While I’M Away, dolcissima e malinconica ballata con inserti quasi sinfonici da ascoltare fino allo sfinimento tante sono le sfumature emotive con cui confrontarsi.
Spero di essere riuscito a trasmettere con queste mie parole cosa rappresenta per me questo disco e cosa questo disco ha rappresentato per un’intera generazione e spero anche di essere riuscito ad incuriosirvi se non conoscete l’opera. Staccatevi per un attimo dal power, dal death, dal black, ma anche dall’heavy o dall’hard e tuffatevi con la vostra anima in un mondo fatto di immaginazione, di creatività e di autentico romanticismo, tuffatevi nel cuore di uno dei più grandi uomini/artisti che abbia mai solcato il nostro pianeta che insieme a due degni compari è riuscito a vivere la vita che tutti non vorremmo vivere e ce l’ha raccontata. Legend Of A Mind.

A cura di Andrea "Polimar" Silvestri

Recensione a cura di Ghost Writer

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 23 set 2015 alle 20:12

Disco da riscoprire, bravo Andrea a riesumarlo. Non ebbe molto successo, come i precedenti del resto, almeno non quanto l'etichetta si aspettava dopo un tour con gli Slade e la mitica Suzi Quatro (che molti ricorderanno solo per il personaggio di Leather Tuscadero in Happy Days :D ) e soprattutto dopo il successo di Whiskey In The Jar (#1 in UK per un gruppo irlandese, una cosa che non succedeva dalla notte dei tempi). Contiene invece almeno 4 perle (2, 4, 5 e 6) e rivela un trio solidamente ancorato al presente e proiettato al futuro, quel futuro che la scelta della doppia chitarra consegnerà alla storia.

Inserito il 22 set 2015 alle 11:21

Grande Polimaaaar! Che sorpresa questa recensione!!! Gruppo mai troppo lodato, a cui tantissimi devono davvero molto. Bellissima recensione, giustamente carica di emotività. La circostanza lo richiedeva.

Inserito il 22 set 2015 alle 09:21

prenoto la recensione di "the war of the worlds" di jeff wayne..

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