Quando 2 anni e mezzo fa, a conclusione della recensione di “Circle”, dissi che gli
Amorphis ci avrebbero senza dubbio regalato un nuovo grande album, ero certo di non sbagliarmi. Mai però avrei pensato di trovarmi di fronte un disco del genere, dalla qualità globale altissima, potenzialmente addirittura superiore al tanto osannato “The Beginning of Times”.
Spoiler? “
Under the Red Cloud” è un album fantastico, degnissimo ultimo (solo in ordine di tempo) episodio della seconda metà di carriera degli Amorphis, quella iniziata nel 2006 con l’arrivo dello strepitoso
Tomi Joutsen, a parere di chi scrive la miglior voce del melodic death metal mondiale e in assoluto una delle più eccentriche e versatili ugole del globo terracqueo, capace di passare con estrema nonchalance da una voce calda e suadente a un growl di primo, primissimo piano. Trovatemi nel panorama metal attuale un growl migliore del suo e vi pago una birra, promesso. Ah anche live s’intende, mica solo su disco, che li son bravissimi tutti.
E già che ci siete trovatemi anche un tastierista migliore di
Santeri Kallio, perché emozioni come quelle che riesce a donarmi la Nordwave del biondo finlandese non riesce proprio a darmele nessuno, con la sua innata capacità di arrivare dritto all’anima con un paio di note ben piazzate.
Comunque dicevo, un album fantastico. 10 canzoni per una cinquantina di minuti di puro piacere auricolare, in cui gli Amorphis riescono a creare un album coeso e coerente con sé stesso e con la storia della band, in cui il passato e il presente riescono a fondersi in maniera pressoché perfetta. Nessun concept epico alla base, niente Kalevala nemmeno a questo giro, ma i soliti testi di
Pekka Kainulainen a cesellare adeguatamente un comparto musicale eccellente. “
E’ un mondo difficile..e vita intensa”, come diceva qualcuno.
E a mondo difficile si associano suoni meno epici ma più reali, più crudi e di conseguenza più pesanti rispetto al recente passato, in un ideale ritorno alle sonorità dei mille laghi, per chi ha orecchie per intendere. Molto più growl, addirittura un brano senza parti clean come “
The Four Wise Ones”, pochi frizzi, pochissimi lazzi e molta sostanza, elementi che contribuiscono in maniera netta alla buona riuscita del disco, pur non lesinando mai su ritornelli melliflui e melodici e bridge intriganti. In un paio di brani si percepiscono più o meno chiari anche echi orientali (“
Death of a King”, “
Enemy at the Gates”), quasi alla Orphaned Land, arricchimento di indubbio interesse che favorisce l’eterogeneità di un lavoro mai banale e ottimamente studiato. Se poi “
The Dark Path” si presenta all’ascoltatore addirittura in un crescendo quasi black, capite perché non ho mai fatto minimamente accenno alla noia o alla mancanza di originalità. E quasi dimenticavo la penultima “
Tree of Ages”, con quel meraviglioso flauto a richiamare sentori celtici e folkeggianti, che anticipa l’atmosferica chiusura affidata a “
White Night”.
Certo, la strada intrapresa dagli
Amorphis è ormai molto ben definita e continuerà senza dubbio a scontentare i fan di vecchia data dei finlandesi, ma analizzando “
Under the Red Cloud” in maniera obiettiva è impossibile, e francamente sarebbe alquanto ingiusto, non riconoscere la qualità eccelsa di un lavoro che consacra definitivamente la band di Rechberger, Koivusaari e Holopainen tra le migliori, se non la migliore, del panorama melodic death mondiale.
Quoth the Raven, Nevermore..