Cominciamo la disamina con una premessa.
Non ricordo un disco veramente “brutto” in cui sia stato coinvolto
Glenn Hughes. La sua voce è tale da impreziosire ogni tipo di composizione e anche nei momenti “bui” e “alterati” della sua storia, l’ex Purple (e molte altre cose …) ha saputo sopperire con uno spiccato carisma a uno stato di forma non esattamente ottimale, supportato dall’enorme devozione che i suoi fedeli estimatori gli hanno da sempre riservato (conosco
rockers incorruttibili arrivati ad apprezzare addirittura i KLF, solo per il
cameo loro concesso dall’amata “voice of rock” …). Aggiungiamo che è ormai parecchio tempo che
Glenn, ormai “ripulito” dai tanti eccessi del passato, ha ripreso a far vibrare al meglio le sue straordinarie corde vocali e ne consegue che è davvero quasi impossibile “criticare” pesantemente un’opera che lo vede parte in causa.
Ciò non toglie che anche in tale situazione ci siano ancora margini di valutazione, ma è chiaro che, a meno d’indesiderati “sconvolgimenti”, la differenza tra un albo di buon livello e un capolavoro (comprese le diverse posizioni intermedie) finisca inevitabilmente per diventare il “nocciolo della questione”.
E qui entrano in gioco altri aspetti, quali le doti strumentali dei suoi
partners in crime e la qualità del materiale compositivo ad uso di una laringe tanto pregiata.
Dario Mollo è un grande del
rock (per inciso, nemmeno nel suo caso, fin dai favolosi Crossbones, non ho memoria di produzioni discografiche fiacche o deprecabili …) che semplicemente a un certo punto della sua carriera ha deciso di collaborare con cantanti di enorme fama e valore (oltre a
Hughes,
Tony Martin e
Graham Bonnet …) e dare origine a progetti apparentemente “estemporanei” piuttosto che affidarsi a una
band “vera e propria”.
Una scelta forse anche opinabile (caratterizzata comunque da una certa “continuità”), che però si è dimostrata vincente dacché Cage e questi
Voodoo Hill si sono dimostrati fulgidi esempi di come l’
hard-rock “classico” possa essere ancora interpretato con vitalità e vocazione.
Ebbene, nuovamente insieme (e l’impressione è che tale termine oggi assuma una valenza ancora più consistente …) per questo “
Waterfall”,
Dario e
Glenn (con l’aiuto di un manipolo di selezionati sodali) sfornano probabilmente il miglior prodotto della loro condivisa parabola artistica, gravido di tecnica e soprattutto di
feeling, talmente denso da puntare risolutamente le zone alte della classifica del godimento
cardio-uditivo.
Non sarà facile trovare nell'anno in corso un’altra raccolta di frammenti sonori ispirati da Rainbow, Deep Purple e Led Zeppelin altrettanto efficace e intensa e ancora meno agevole sarà reperire qualcuno in grado di sconfiggere i nostri sullo stesso “terreno” (al momento mi vengono in mente solo gli Europe, ma loro con “
War of kings” si sono davvero superati …).
“
All that remains”, “
Sunflower” e “
Last door”, con il loro ammaliante tocco Van-Halen-
iano, le scansioni sinuose e poderose di “
The well” e “
Rattle shake bone”, l’ardore enfatico e melodrammatico di “
Underneath and down below” e poi ancora il
Dirigibile che solca l’
Arcobaleno nella
title-track, il
groove contagioso di “
Karma go” e “
Evil thing”, a cui si aggiunge quello vaporoso e magnetico di “
White feather”, rappresentano momenti musicali di rara forza e messa a fuoco espressiva, per un risultato che non si acquisisce “solo” attraverso la maestria esecutiva o grazie alla nobile reputazione acquisita.
Cercando di essere maggiormente
tranchant, come richiesto dai nostri tempi così convulsi e spesso altrettanto dispotici, questo non è solo un altro
Cd altamente professionale e curato, “scrupoloso” anche nella sua celebrazione della tradizione … è molto di più … e scoprirlo ascolto dopo ascolto, proprio come ho fatto io, è un’esperienza che mi sento di consigliarvi senza remore.