Non è facile parlare di uno dei dischi più venduti della storia del rock (Wikipedia parla di 43 milioni di copie, ma secondo l'autore sono un po' più di 30) e, oggettivamente, difficili da catalogare. Facciamo ordine dicendo che sì, a cantare è il poliedrico artista americano
Meat Loaf (cantante ma anche attore comparso in vari lungometraggi di successo, dal
“Rocky Horror Picture Show” al più recente
“Tenaciaous D e il Destino del Rock” dove interpreta il padre del protagonista Jack Black) ma a comporre è il forse meno noto
Jim Steinman, autore di “tonnellate” di brani celebri (ricordate, per dirne un paio,
“It’s All Coming Back To Me Now” di Céline Dion e
“Total Eclipse Of The Heart” di Bonnie Tyler?) e vero e proprio “visionario” del rock. Quello che esce dall’incontro tra i due è una strana miscela di musical (
Meat Loaf guarda caso aveva recentemente cantato in una produzione di
“Hair”), immaginario epico (
Jim Steinman venne proclamato non a caso il “Richard Wagner del rock”) e “wall of sound" spectoriano (all’ascolto dell’album, non c’è un singolo angolo vuoto nel panorama stereofonico).
“Bat Out of Hell”, diventato “trademark” nel 1995, è sicuramente un disco di contrasti dove “loudness” e musica struggente e drammatica (pensate ai Queen in Harley Davidson) si incrociano con parti narrate e tematiche “nobili” sviluppate in modo sorprendentemente divertente. I brani sono in buona parte “riciclati” da un musical abortito di
Steinman incentrato su
“Peter Pan” (l’elemento “nobile” di cui sopra) ma filtrato attraverso le esperienze di un adolescente “tutto-testosterone” e delle sue ragazze che, come tutte, “ci stanno” a momenti alterni e, quando “ci stanno”, lo fanno pure pesare (l’elemento “divertente”). A questo aggiungete una copertina che neanche gli Iron Maiden sotto anfetamine avrebbero potuto immaginare (cimiteri, motociclette volanti e pipistrelli ma tranquilli, non c’è Eddie) e si capisce come tutto questo potesse all’epoca spiazzare sia una potenziale casa discografica che un malcapitato ascoltatore. Alla coppia servono più di due anni per trovare un’etichetta (nel frattempo propongono i brani in “acustico” nei bar e pub locali) e una volta nei negozi il disco è un mezzo fiasco. Diciamolo, non è un disco per palati “americani”, troppi fronzoli, brani troppo lunghi, è più una cosa da “europei” e questo non aiuta. Il vero e proprio “botto” non arriverà mai, sarà un lento e progressivo incremento di vendite dettato da eventi perlopiù sporadici e non programmati (apparizioni televisive “tappabuchi” di imprevedibile successo e simili).
Meat Loaf e
Steinman, nel loro rapporto di amore/odio mai ben definito causato da invidia reciproca, collaboreranno ancora in futuro con risultati altalenanti (solamente di “sequel” di
“Bat Out of Hell” ne usciranno altri due a distanza di 25 e 30 anni dal primo), ma questo rimane l’imprescindibile “masterpiece”. Quando un compositore eccezionale incrocia un grande interprete.
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