Il loro esordio, "When Darkness Calls", mi era - colpevolmente - sfuggito, perso tra le innumerevoli uscite nel settore Hard & Heavy; scopro quindi i
Reverence solo in occasione del loro secondo album,
"Gods of War".
Mi ritrovo così per le mani un gran bel disco di Heavy Metal realizzato da musicisti che non sono certo gli ultimi arrivati, visto che dietro al drum-kit siede nientemeno che
Steve Wacholz, a lungo una delle colonne dei Savatage (e per un periodo nei Crimson Glory), mentre alla voce ritroviamo
Todd Michael Hall, attuale frontman dei Riot e con diverse altre esperienze alle spalle, come ad esempio quelle al fianco di Jack Starr e alla chitarra
Bryan Holland con i suoi trascorsi (seppur solo per un paio d’anni) nei Tokyo Blade.
L’opener
"Gods of War" è un bel tuffo nel passato, un brano elegante e con un bel tiro, un mix tra Queensryche e Metal Church, dove è subito evidente come
Todd Michael Hall possa - e sappia - fare davvero la differenza.
Se
"Heart of Gold" accentua, soprattutto a livello corale, gli aspetti più melodici dei
Reverence, messi poi in un angolo dai ritmi serrati e corposi della scattante e quasi feroce
"Until My Dying Breath" dove li scopriamo digrignare i denti. Tocca alla priestiana
"Angel in Black" e a
"Tear Down the Mountain" mediare queste due anime, grazie al solito
Todd Michael Hall e alla prova fluente della coppia
Holland & Rossi.
L'attacco battagliero di
"Blood of Heroes" è il preludio a un pezzo dalle tinte epiche che nelle sue pieghe, subito prima dell’assolo, "nasconde" una famosissima citazione di Winston Churchill.
Pur nella sua partenza a razzo è facile rendersi conto di come
"Battle Cry" non sia una cover degli Omen e che guardi piuttosto ai Riot. Ecco che poi
"Choices Made" mette subito in evidenza il bel martellare di
Steve Wacholz, che detta i tempi al brano più hardeggiante dell'album prima che questo si conceda alle tentazioni più melodiche della power ballad
"Splinter".
La verve e i refrain di
"Cleansed by Fire" e della conclusiva
"Race to Obscene" spazzano via quel momento di stanca che con gli ultimi brani stava già iniziando a farsi avvertire, andando così a corroborare le ottime sensazioni iniziali.
Con tutti e due i piedi ben piantati nello US Metal degli anni ottanta, e senza limitarsi alla pedissequa riproposizione del "già sentito", i
Reverence con
"Gods of War" danno l’ennesima prova che il Metal è vivo. Ancora e sempre.
You want it all, but you can't
read it
It's in your face, but you can't
read it
What is it? It's it
What is it? ... it's the
review