La copertina del disco, illustrata dalle matite sapienti e fantasiose di
Rodney Matthews, invoglia fin da subito all'ascolto, consentendo, così, di scoprire che questi
Starquake hanno sicuramente delle valide qualità artistiche, edificate sulla blasonata dottrina concepita e trasmessa ai posteri da King Crimson, Uriah Heep, Genesis, Warhorse, Gentle Giant e Pink Floyd.
In realtà, possiamo affermare che le suddette dotazioni sono essenzialmente appannaggio di
Mikey Wenzel, polistrumentista, produttore e cantante tedesco,
mastermind di un progetto che potrebbe finire per essere apprezzato pure dai molti sostenitori di Spock's Beard e Ayreon, i quali potranno agevolmente trovare parecchie affinità tra l’approccio alla materia esibito dai loro beniamini e quello ostentato dall’autore di “
Times that matter”. A tali illuminati
rockofili bisogna purtroppo anche rivelare che il nostro non è al momento all’altezza di un
Lucassen o di un
Morse, senza voler addirittura tirare in ballo nomi ancora più “scomodi”, selezionandoli tra i monumentali numi tutelari che sostengono l’opera.
Tecnica e inventiva importanti, e pure una certa dose di classe, non sono comunque sufficienti a scongiurare uno dei rischi più significativi d’imprese come queste … la verbosità, un vizio difficile da eludere e che qui affiora in svariati momenti, finendo per ridimensionare l’efficacia di un programma non privo di spunti interessanti e di una certa forza espressiva.
L’impressione è che
Mikey si sia lasciato prendere un po’ “la mano”, e che le ambizioni di creare una musica evocativa ed estrosa siano andate leggermente oltre le sue attuali capacità compositive, di sicuro di buon livello, ma forse non ancora del tutto preparate a “affrontare” un tomo sonoro di oltre settanta minuti.
A eccellenti brani densi di
pathos seventies come “
Scenes from a revolution” e “
Close encounter”, si alternano, infatti, frangenti maggiormente controversi come “
Rise and fall” e “
Fairytale”,
suites contraddistinte da razioni imponenti di tensione emotiva e, nel contempo, da scampoli abbastanza palesi di manierismo.
Che cosa dire, poi, della straniante
“I'm goin' mad (You comin' ?)”, pericolosamente in bilico tra
genio e
stoltezza? Situazioni che si ripetono senza soluzione di continuità scorrendo il resto della
tracklist: “
Here I go again” ha una bella grinta, “
The needle lies” è invece un tentativo di
electro-metal-prog piuttosto infelice, la
title-track è una ballata malinconica di discreta suggestione (una “roba” tra Metallica, The Who e A7X!) e lo strumentale “
Goodbye my friend” piace per la sua suggestiva ariosità, mentre la Maiden-
iana “
No more hate” lascia davvero sconcertati (in pratica una
cover, nemmeno troppo ispirata, di “
Wasted years” … voglio sperare si tratti di una sorta di
celebrazione non dichiarata …) e il romanticismo di “
Whatever” non colpisce in maniera particolare, sebbene permetta di sottolineare la duttilità vocale di
Herr Wenzel, provvisto di una laringe sempre consona alle diverse circostanze interpretative.
Un lavoro per certi versi intrigante e tuttavia parecchio discontinuo … se sapranno “asciugare” e focalizzare meglio la loro proposta (e riusciranno altresì ad evitare qualche piccola
pacchianeria …), gli
Starquake potranno senz’altro aspirare a un ruolo di spicco … per ora, però, si devono accontentare di una collocazione tra la confusa schiera dei promettenti.