Copertina 7,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2016
Durata:70 min.
Etichetta:Ulterium Records

Tracklist

  1. ROLL THE DICE
  2. BROKEN
  3. MODERN BABYLON
  4. MACHINES OF FEAR
  5. NEEDLES IN MY MIND
  6. MY WORLD ON FIRE
  7. RAIN OF A THOUSAND YEARS
  8. SERENITY
  9. SINS OF THE PAST
  10. THROUGH MY EYES
  11. ZERO GROUND
  12. CROSS THE LINE
  13. TAME THE SEVEN SEAS

Line up

  • George Eikosipentakis: vocals
  • Thimios Krikos: guitar
  • Manolis Tsigos: guitar
  • Antonis Mazarakis: bass
  • Fragiskos Samoilis: drums
  • George Georgiou: keyboards

Voto medio utenti

La sparo volutamente grossa: “InnerWish” è la summa di quello che l’heavy/power metal ci ha dato di meglio negli ultimi 25 anni. Forte questa, eh? Grasse risate a parte, quando mi sono avvicinato al disco il mio primo pensiero è andato alla durata del full-length (poco meno di 70 minuti, mica male come grido di battaglia alla noia) e, con il cuore in pace e le fette di prosciutto “negli” occhi (che fanno molto più male che “sugli” occhi), mi preparavo, esausto in partenza, a un piattissimo mix più o meno scopiazzato di brani veloci e ballatone strappa-mutande. Niente di più sbagliato! Innanzitutto i greci hanno dato molto più spazio alle song “tirate” (unica ballad propriamente detta è la penultima “Cross The Line”) così come hanno curato maniacalmente arrangiamenti e produzione (entrambi da manuale). Alle mie orecchie a brillare è soprattutto la voce (e i cori aggiungo) del notevolissimo George Eikosipentakis, capace di momenti di grande aggressività ("Roll The Dice", "Modern Babylon") e di altri più pacati e intensi (la già citata "Cross The Line" o la strofa di "Zero Ground"). Ritornando alla boutade iniziale in questo disco troverete cavalcate di memoria maideniana ("Needles In My Mind"), tentazioni sinfoniche a metà strada tra gli Stratovarius dell'era “Episode” e i Nightwish di "Oceanborn" ("Tame The Seven Seas"), riff più heavy nella migliore tradizione Rage ("Machines Of Fear", "Serenity"), tappeti di doppia cassa e incroci chitarristici mutuati direttamente dagli anni d’oro degli Helloween ("Rain Of A Thousand Years", "Sins Of The Past") e chi più ne ha più ne metta. Si potrebbe dire che questo è un “best of” delle band sopraccitate, ma non sarebbe onesto: gli InnerWish ci mettono tanto del loro, soprattutto in fase solistica (segnalo il curioso aneddoto che, nonostante la presenza di un tastierista di ruolo, non ho sentito nemmeno un keyboard-solo) e, forti dell’esperienza ormai quasi ventennale, riescono a tenere altissima la curva dell’attenzione per tutta la durata dell’album: per i maestri “big” questi sono allievi di cui essere molto fieri.
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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