A volte penso che l'acquisizione del gruppo
Century Media (di cui
Inside Out Music e la sorella
Superball Music fanno parte) operata da
Sony ormai quasi un anno fa, abbia in qualche modo influito sulla proposta musicale degli artisti della label tedesca. Magari si tratta solo di suggestioni, per carità, ma come per altri artisti prima di loro mi pare che anche i
Long Distance Calling, originariamente alfieri di un alternative/post-rock tutt'altro che radiofonico, abbiano optato con questo
"Trips" per soluzioni più canoniche e mainstream. Merito/colpa del produttore
Vincent Sorg? Del nuovo cantante
Petter Carlsen? Mah. Quello che è certo è che i brani si sono sensibilmente accorciati e le canzoni "tradizionali" hanno preso il posto delle lunghe suite strumentali e atmosferiche che una volta erano il marchio di fabbrica della band tedesca.
Apre le danze
"Getaway", un ardito incrocio tra Alan Parsons e i Daft Punk (almeno nell'utilizzo del vocoder), seguita a ruota da
"Reconnect", altro pseudo-singolo che mi ha ricordato i Placebo di metà anni Novanta. L'asticella della mia attenzione risale con la successiva
"Rewind" un buon lento dalle tinte progressive guidato dalle tastiere dell'ospite
Martin Fischer. Balzo dalla sedia ascoltando il riff portante di
"Trauma", un plagio neanche troppo ben fatto dei connazionali Rammstein.
"Lines" torna su livelli accettabili grazie a una buona prova corale del quartetto sorretta da un cantato non proprio audace ma azzeccato. La breve e narrata
"Presence" prelude a
"Momentum", altro rimando alle soluzioni strumentali dell'alternative più recente (e commerciale) di Muse e simili che si perde un po' nel finale. Noto con piacere che finalmente una traccia del full-length ha superato i cinque minuti, cosa che avverrà anche per i due brani successivi. Come diceva quello: "si può fare!".
"Plans" inizia come un lento atmosferico per poi evolvere in qualcosa di più incalzante e dal groove coinvolgente, risultando uno dei pezzi meglio riusciti del lotto. Il gran finale è lasciato a
"Flux", tredici minuti di musica molto diluiti che sfumano in un'altra narrazione dal tono epico e salutano l'ascoltatore.
Che voto dare a questo lavoro? Qui si pone il solito vecchio tema del confronto con il passato... Ammesso e non concesso che credo che un buon lavoro sia un buon lavoro a prescindere da quello che è stato fatto precedentemente e quindi dovrebbe essere valutato indipendentemente dal contesto e dallo storico, rimane l'imbarazzo di dover dire "sti qui sono diventati un po' fighetti e non brillano nemmeno più tanto per originalità". Sufficiente? Sicuramente sì, ma per me non si va molto oltre.
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