Copertina 7

Info

Anno di uscita:2016
Durata:57 min.
Etichetta:Self-Produced

Tracklist

  1. SHANGRI-LA
  2. COLD EYES
  3. IN THE END
  4. DREAMLESS
  5. IN LIFE AND DEATH
  6. THE DEPHTS OF VANADIS
  7. WHITE LIE
  8. SACRIFICE
  9. GHOST TOWN
  10. DISTANT TRAVELER
  11. ESCAPE INTO DARKNESS

Line up

  • Cliff Ljung: vocals
  • Richard Sundström: bass
  • Daniel Castman: guitars
  • Andreas Nederfeldt: drums

Voto medio utenti

La biografia dei Vindra è a tratti commovente. Nati nel 2004, dopo varie peripezie, questi svedesi di belle speranze giungono alla prima release nel 2008 ("Heroes Of The Unfinished Symphony") per poi suonare in lungo e in largo nel proprio paese promuovendo addirittura una compilation di brani precedentemente composti e mai stampati ("The Beginning", del 2011). Sempre nel 2011 iniziano i lavori per questo "Mournful Boy" ma i quattro, incerti sulla strada da percorrere, scartano il materiale fino ad allora elaborato per ricominciare tutto da capo, diventano genitori (3/4 di loro) e trovano un'etichetta tedesca disposta a investire sul disco, la Dust On The Tracks Records. Ora tirate fuori i fazzoletti: la label di cui sopra fallisce (del resto se c'è della "polvere sulle tracce" qualche dubbio te lo devi pur far venire, ndr) e i nostri, con un pugno di mosche in mano, sono costretti ad autofinanziarsi per pubblicare il materiale tanto sofferto.

Ironia a parte, dopo aver ascoltato il full-length, quello che mi sento di dire è che sicuramente i membri di questo combo non sono dei "fenomeni" (né come autori né come performer), ma nonostante questo ce la mettono tutta per cercare di essere vari e interessanti senza dover rinunciare a quella coerenza che, se mancante, vanificherebbe gli sforzi intrapresi per arrivare a questo risultato.

Le coordinate stilistiche rimandano a un alternative rock melodico di matrice Nineties (quasi metal nelle intenzioni, ma troppo “zozzo” nell’esecuzione per poter essere considerato tale) con rimandi agli Eighties nelle armonie vocali e ai Seventies nelle fasi solistiche, equamente distribuito tra episodi lenti e veloci. Eccoci allora immersi in brani talvolta elaborati (l’iniziale “Shangri-La”, “Cold Eyes” o “Escape Into Darkness”), talvolta più diretti e incisivi (“In The End”, “In Life And Death”, “Sacrifice”, “Distant Traveler”), reminiscenze pinkfloydiane (“Dreamless”, lo strumentale “The Depths Of Vanadis”, “White Lie”) e richiami più marcatamente mainstream (“Ghost Town” fa addirittura pensare ai Police o agli U2). Un’onesta produzione poco ricamata e molto “live-in-studio” risulta, in questo caso specifico, un plus che caratterizza meglio i suoni dei singoli brani senza omologarli e scacciando quel pericoloso spettro chiamato “noia”.

Il voto va all’impegno: non penso che si sentirà parlare molto di questa formazione e probabilmente io stesso non li ascolterò più nella vita ma voglio comunque premiarli per la costanza e la determinazione.
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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