I
Black Magic Fools, autori
sulla carta di un folk metal dalle influenze medievali, sembravano avere tutte le carte in regola per poter attirare la mia attenzione e oggettivamente ci sono riusciti, anche se non nel modo che mi sarei aspettato. Gli svedesi, in attività dal 2008, hanno un approccio al genere decisamente personale che nulla ha a che fare con il folk metal che ha accompagnato la mia gioventù (Mago de Oz, Tierra Santa, ecc.) e che pensavo di ascoltare in questo
"Soul Collector".
Il full-length è un concept album incentrato sulla vicenda di un musicista del Medioevo che, una notte, viene privato del suo strumento da un gruppo di preti che lo distruggono intimandogli di non tornare mai più al villaggio. Il musicista firma allora un'alleanza con il Diavolo per rimpossessarsi dello strumento a patto di procacciargli nuove anime e diffondere miseria nel mondo. Senza entrare nel merito della bontà della storia, capite da voi che una musica particolarmente "allegra e scanzonata" mal si sposerebbe con tale intreccio e
Pontus & Co. lo sanno bene. Eccoci allora al cospetto di un folk metal "sinistro", dalle atmosfere inquisitorie, fatto di linee vocali (non splendide, diciamolo) più recitate che cantate, di break strumentali
"in your face" e di piccole concessioni alla lingua madre per evocare sensazioni ancora più opprimenti.
In questo caso specifico gli "strumenti-guida" sono la cornamusa del sopraccitato
Pontus (ben percepibile in brani come la breve e introduttiva
"Fools Parade" e la successiva
"Grave Dancer") e i violini di
Ida e
Katja (di fatto onnipresenti ma apprezzabili soprattutto in
"Lies" o in
"A Jester's Confession") che si insinuano in un tessuto tipicamente heavy/thrash (penso a
"Black Jig" e alla title-track). Non mancano poi i momenti più rilassati (la bella e conclusiva
"Vadjan", con il cantato a cura delle due violiniste) e i cori di memoria teutonica (
"Last Supper" e
"Truth"), che rendono il sound abbastanza vario e godibile.
Credo che la strada intrapresa dalla formazione di Göteborg, per quanto impervia, sia quella giusta per riuscire a ritagliarsi uno spazio nel panorama folk odierno. Fossi in loro lavorerei ulteriormente sulle linee vocali (e sul cantato di
Pontus in particolare) per rendere il tutto più cantabile/accessibile/melodico e meno melodrammatico/teatrale.
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