Parlavo di questo disco con il mio amico
Paolo, bassista dei Methodica e degli Astrolabio (due ottime realtà prog di Verona, ve le segnalo) e l'osservazione che questi mi ha mosso è stata:
"Fiappo eh?". E a me è venuto spontaneo rispondere:
"Scusa, ma cosa ti aspettavi?".
Jon Anderson (cantante storico degli Yes, da qualche anno licenziato dalla band) e
Roine Stolt (altro nume tutelare di certa musica, fondatore di Kaipa, Flower Kings e Transatlantic, tanto per dire tre nomi) sono due "megalomani" che si sono voluti togliere lo sfizio di fare insieme un album di prog sinfonico che suonasse un po'
"Close To The Edge", un po'
"Tales From Topographic Oceans" e un po'
"Relayer": chi siamo noi per impedirglielo?
"Invention Of Knowledge", dalla prima all'ultima nota, suona come un disco degli Yes dei primi Anni Settanta e se non fosse per il chitarrismo di
Stolt (molto diverso dallo stile di
Steve Howe) il senso di déjà-vu sarebbe ancora più lampante. Eccoci allora catapultati indietro di quarant'anni già dalle prime note di
"Invention", con le sue progressioni armoniche wagneriane e le melodie caratteristiche dell'ugola inglese. Il sitar e le orchestrazioni più pronunciate di
"We Are Truth" amplificano questo senso di "viaggio nel tempo", così come
"Knowledge" ci regala un finale che sembra preso direttamente dal sopraccitato
"Close...".
"Knowing" e
"Chase And Harmony" si scostano lievemente dal sound degli Yes grazie a un tastierismo più elaborato e meno vicino a
Rick Wakeman. Le sfumature jazz di
"Everybody Heals" riportano alla mente
Patrick Moraz, così come
"Better By Far" e
"Golden Light" ricalcano pedissequamente gli epicissimi finali delle suite che tutti conosciamo e che hanno fatto scuola. L'arrangiamento ibrido di
"Know", tra prog e musica "esotica" nell'uso delle percussioni e del Rhodes, potrebbero far pensare a qualcosa di diverso, ma tempo qualche minuto e tutto torna a essere Yes al 100%.
Non sono un sostenitore delle "operazioni nostalgia", ma qui la cosa è talmente sentita e ricercata da risultare addirittura credibile e innegabilmente riuscita. Non lo immagino "disco dell'anno", ma di sicuro questo full-length ha un suo motivo di esistere. E per l'inguaribile deluso rimando alla domanda iniziale:
"Scusa, ma cosa ti aspettavi?".
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