I
Running Wild hanno ripreso a veleggiare verso porti sicuri, probabilmente verso Tortuga, Port Royal o New Providence, con le vele spiegate e il vento in poppa.
Infatti, rispetto a "Shadowmaker" ma anche al più recente "Resilient", il songwriting di
Rock’n’Rolf guarda maggiormente al passato del gruppo, dalle parti di “Blazon Stone” o del meno datato “Victory”, con la maggior parte delle canzoni che scorrono veloci e battagliere e con le influenze Hard Rock fattesi meno invasive.
Anche a livello di testi, tornano a predominare le tematiche legale alla pirateria, nelle indovinate "
Black Skies, Red Flag" e "
Black Bart" o nella stessa (piuttosto anonima) titletrack, ma non mancano episodi legati ala letteratura e alla storia della vecchia America, (nemmeno questi sono comunque una novità per i
Runnng Wild) come "
The Depth of the Sea – Nautilus", "
Into the West" e l'epica "
Last of the Mohicans", ispirata dal romanzo di James Fenimore Cooper.
L'opener "
Black Skies, Red Flag" è subito
Running Wild al 100%, le chitarre e i cori ne riecheggiano lo stile classico, addirittura la seguente "
Warmongers" nella sua semplicità e solidità sembra guardare ai primi lavori del gruppo. A scombinare le carte giunge "
Stick to Your Guns", con sonorità hardeggianti ed appeal retrò che ci riportano alla realtà: a quella dei più recenti
Running Wild. Non riescono a riaccendere la magia nè la titletrack e nemmeno l'anthemica "
By the Blood in Your Heart", ma dopo la strumentale "
The Depth of the Sea – Nautilus", ecco che l'autocitazionista "
Black Bart" riesce a far scoccare la scintilla, dando fuoco alle polveri:
Ready for Boarding. Non male le scosse Hard & Heavy dell'up-tempo "
Hellestrified" e della più quadrata "
Blood Moon Rising", ma anche "
Into the West", che ha dalla sua un approccio scanzonato e vivace, infine ecco l'inevitabile conclusione giocata sulla lunga distanza con "
Last of the Mohicans", Heavy Metal suite che pare aver come riferimento una "Genesis (the Making and the Fall of Man)" d'annata.
Fortunatamente, pur dando la sensazione di essere un album zeppo di cliché che procede con il pilota automatico, più che spinto dall’entusiasmo e da una reale convinzione, "
Rapid Foray" riesce a fare di meglio delle ultime uscite in casa
Running Wild.
Rimango, quindi, dell’idea che ormai i
Running Wild siano limitati dal fatto di essere poco più che una "one man band", con
Rolf Kasparek che ha praticamente fatto tutto da solo, producendo (e non in maniera particolarmente brillante) l'album assieme a
Niki Nowy e con il “solito” apporto del chitarrista
Peter Jordan, oltre a quello del batterista
Michael Wolpers (da qualche anno nei Victory), che ha suonato su parte delle canzoni.
Indiscutibilmente "
Rapid Foray" non è un capolavoro in grado di rivaleggiare con i classici del gruppo, ma sicuramente, come già sottolineato, un ulteriore passetto in avanti rispetto al recente passato.
E possiamo ( ..
dobbiamo? ) accontentarci.
I was born to
reviewHear me while I
write... none shall hear a lie
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interview are taken by the will
By divine right hail and
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