Quello di
Michael Palace è uno dei “nomi nuovi” più interessanti della scena melodica internazionale.
Del resto, non si arriva a collaborare con Find Me e First Signal (oltre che con i Cry of Dawn di
Goran Edman, la cui imminente uscita è molto attesa dal sottoscritto …) “per caso”, diventando, di fatto, uno dei
notabili del ricco
team di lavoro della
Frontiers Music, talmente soddisfatta della sua “scoperta” da decidere di sostenerla pure in quest’avventura da protagonista.
Affiancato da musicisti di comprovato valore (
Rick Digorio,
Soufian Ma’Aoui e
Marcus Johansson, che nei rispettivi
curriculum possono vantare esperienze con Big Time, Houston, Reach e Adrenaline Rush ...), il chitarrista, cantante e
songwriter svedese affida alla denominazione collettiva
Palace tutta la sua passione per l’
hard melodico
ottantiano, dimostrando ancora una volta di possedere un’attitudine davvero viscerale per questi suoni ampiamente codificati e celebrati.
A questo punto della disamina è quasi inevitabile affrontare la questione “personalità” … ebbene i nostri non sono affatto dei “temerari” o degli innovatori, ma la loro classe e competenza nel trattare con devozione e vivacità la grande tradizione americana (e, di conseguenza, scandinava … Journey, Whitesnake, House Of Lords, Street Talk, Alien, TNT, …) del settore è lampante, certificata senza pericolo di smentita dalla sontuosa magniloquenza degli arrangiamenti e dall’ariosità seduttiva delle armonie, il tutto innervato da adeguate inoculazioni di grinta ed energia.
La voce di
Michael, poi, sebbene non “straordinaria” per estensione e colore interpretativo, possiede le caratteristiche necessarie a “prendere per mano” le melodie e condurle dritte nel cuore degli
chic-rockers all’ascolto e riesce, a differenza di tante sue contendenti, a non limitarsi a espressioni fonatorie palesemente imitative.
Un disco di notevole valore, dunque, che tuttavia non raggiunge le vette dell’appagamento
cardio-uditivo a causa di alcuni episodi leggermente troppo prevedibili ed epidermici, incapaci di soggiogare i sensi anche a dispetto di una grande accuratezza formale.
Poco male, nel programma c’è di che consolarsi ampiamente, a cominciare dalla ficcante
title-track, passando per l’irresistibile contagio
anthemico di “
Cool running”, “
Man behind the gun” e “
Part of me”, approdando alla ballata notturna “
Rules of the game” e alla vellutata raffinatezza di “
Strangers eyes”.
Ancora un paio di menzioni, infine, vanno spese per la cangiante e
soulful “
No exit” (vagamente Toto-
esca) e per la dilettevole e
poppettosa “
She said it's over”, due momenti magari non proprio “esaltanti” eppure assai godibili.
“
Master of the universe” è un albo in cui le numerose influenze e le ambientazioni “nostalgiche” non pregiudicano l’ispirazione e rappresenta le solide fondamenta su cui i
Palace potranno edificare il loro brillante futuro artistico.
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