Cerco, anzi so, di essere sempre estremamente obiettivo con i miei giudizi. Se un disco mi piace troppo, o troppo poco, lo ascolto e lo riascolto per capire meglio se si tratti di entusiasmo o delusione dettata dal momento, fino a giungere ad un pensiero pressochè definitivo, che mi accompagnerà nel 90% dei casi per gli anni a venire, o anche per tutta la vita. Mai stato cultore dell'ideologia "solo gli stolti non cambiano idea", al contrario chi cambia sempre idea lo considero come una banderuola al vento, incapace di scegliere con la propria testa per seguire mode e trends imperanti di volta in volta, alla faccia del sapersi evolvere e guardare avanti, cosa che nel metal nel 99% dei casi porta a schifezze immani con pronto pentimento, successivamente, degli autori di tali cambiamenti...
Ecco, gli
Asphyx fortunatamente non si evolvono. Ed io con loro. Non c'è bisogno di evolversi, il VERO death metal è questo, dal 1980 ad oggi, sempre stato questo e sempre sarà, nessuna nuova alchimia, nessuna sperimentazione, nessuna innovazione: se cerco death metal, so che gli Asphyx quello mi daranno, fatto di mid tempos schiantati da furiose accelerazioni, dalla voce soffocata di un Van Drunen sempre più nell'Olimpo tra tutti i growlers di ogni tempo, insieme a John Tardy e pochi altri immediatamente riconoscibile, col suo rantolo soffocato immutato nel tempo, sebbene la sua immagine sia così lontano dal "babyface" che era ai tempi di
Pestilence e
Bolt Thrower.
L'unica cosa che resta da stabilire a questo punto è quanto sia valida la proposta di death metal che gli Asphyx ci forniscono, decente con "
Death...the brutal way", buona con "
Deathhammer" e molto buona con questo "
Incoming Death", davvero ottimo comeback per la band di Oldenzaal, sempre sugli scudi nonostante una carriera travagliata, infestata da continui cambi di formazione, parentesi chiuse e riaperte come quella dei
Soulburn, tragedie assurde con la morte di
Theo Loomans ed una parentesi di noncuranza da parte di un pubblico distratto da nuove correnti, nuove mode da inseguire.
Rimane
Van Drunen, un uomo solo al comando, insieme ai suoi gregari
Baayens e
Zuur, e no, non c'è più nemmeno
Bagchus, concentrato unicamente sui cugini
Soulburn insieme all'altro ex Asphyx
Eric Daniels, attesi alla terza prova anche loro tra poche settimane. E Van Drunen si conferma, insieme ai suoi compagni, poeta illuminato dell'estremo, con brani che non avrebbero sfigurato nemmeno sui dischi storici.
Cerco, anzi so, di essere sempre estremamente obiettivo con i miei giudizi. Amo il death metal, e lo ascolto da qualsiasi band, dai 16enni ai 90enni, dalla Svezia al Cile, passando per Stati Uniti e Singapore. Ma, non so perchè, quando scendono in campo i maestri del periodo d'oro, non ce n'è per nessuno. Non credo di essere deviato dall'affetto, sebbene provi per gli Asphyx un affetto quasi fraterno, ma quando scorrono brani come "
The Grand Denial" brividi percorrono la mia schiena, sento qualcosa fremere dentro di me, un ghigno beffardo si impossessa del freddo ascoltatore e comincio a sbattere qualsiasi cosa, dimenticandomi di problemi, di routine quotidiana, di qualsiasi cosa. C'è solo il death metal.
Title track al fulmicotone, echi di Pestilence, assoli quasi epici, ritmiche frenetiche e coinvolgenti, suoni PERFETTI al contrario dei dischi del ritorno precedenti, che presentavano un sound troppo estremo, troppo "wall of sound", chitarre che ti portano via la pelle per quanto sono abrasive, brani carismatici, personali - e chi se non loro possono porre il loro marchio di fabbrica ovunque? - e tutti nettamente diversi e riconoscibili tra di loro. "
Incoming Death" è un disco più ragionato, anche più melodico se vogliamo rispetto al recente passato, molto a-la-Bolt Thrower in qualche passaggio, ma questo non può esser un difetto, anzi ci piace più non solo degli ultimi ma anche degli album deboli a metà carriera, come ad esempio l'incerto "
God Cries", forse unico vero passo falso della loro carriera.
Una carriera che ancora risorge, stupisce, illumina: di nero.
C'è solo il death metal.