Mi accingo a scrivere una recensione poco oggettiva e ancor meno imparziale, come poche volte mi è capitato finora. Questo perché, da un lato, per me
Meat Loaf è sempre stato irraggiungibile da molti punti di vista (dalla caratura artistica alla massa corporea) così come avrei (forse?) venduto l'anima al diavolo per avere un briciolo della creatività, della follia e del talento compositivo di
Jim Steinman.
C'è chi ha detto che
"Braver Than We Are" è un disco di cover (cosa abbastanza vera, di "nuovo" non c'è praticamente nulla se non buona parte degli arrangiamenti), c'è chi lo ha etichettato come peggior album del 2016 (ed è uscito solo a settembre) e c'è chi è semplicemente rimasto indifferente dopo averlo ascoltato. Io, una volta tanto, voglio fare la voce fuori dal coro.
Questo full-length è pieno zeppo di momenti discutibili e/o imbarazzanti (soprattutto dalla metà in poi, vedasi
"Skull Of Your Country" con alcuni stralci di
"Total Eclipse Of The Heart" o la conclusiva
"Train Of Love", traccia da brividi nel senso peggiore del termine) ma, come spesso
Meat Loaf mi/ci ha abituato, è in grado anche di toccare delle vette inarrivabili per chiunque. La voce non è più quella di un tempo, è vero, e lo si capisce già dall'iniziale e disorientante
"Who Needs The Young", a cavallo tra rock'n'roll, cabaret, circo e teatro.
"Going All The Way" (una
"I'd Do Anything For Love" del nuovo millennio) potrebbe venire da un disco della Trans-Siberian Orchestra o degli ultimi Avantasia, ma la verità è che
Paul O'Neill e
Tobias Sammet hanno saccheggiato in più di un'occasione la discografia di
Steinman (probabilmente quasi quanto solo
Steinman ha fatto con sé stesso), ed è commovente sentire le voci di
Ellen Foley e
Karla DeVito ancora una volta (le cantanti di
"Paradise By The Dashboard Light", la prima nella versione in studio, la seconda nei tour di supporto a
"Bat Out Of Hell").
"Speaking In Tongues" fa tornare alla mente i momenti più pacati di
"Dead Ringer", mentre
"Loving You Is A Dirty Job" è il primo mezzo passo falso dell'album, un tentativo un po' goffo di ammodernare un sound già caratteristico ed elaborato di per sé.
"Souvenirs" è un altro apice, un brano dall'arrangiamento incentrato sui sassofoni carico di groove e di atmosfere da locale lounge di Manhattan.
"Only When I Feel" fa intuire da dove
Jon Oliva ha mutuato un certo tipo di interpretazione, mentre
"More" (
ma solo io ricordo la versione degli Shaman di Matos presente su "Reason" oltre a quella dei Sisters Of Mercy? ndr) soffre in parte del trattamento riservato a
"Loving You...", anche se suona molto più riuscita ed heavy per gli standard del "polpettone".
"Godz" è un po' troppo sfaccettata considerando la sua breve durata (musical, un po' di hard rock, qualcosa della Disney più avventurosa e chi più ne ha più ne metta) e prelude al finale, non proprio all'altezza, di cui ho scritto all'inizio.
L'augurio (e la speranza) è che
Meat Loaf sia abbastanza lungimirante da chiudere qui la sua carriera: francamente non credo che possa andarsene a testa più alta di così.
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