Quando esordirono nel 2013 con
"Rubidium", gli inglesi
Maschine vennero eletti a furor di popolo (ma anche dalla stampa specializzata a dire il vero) come
"the next big thing" del progressive metal. Incuriosito, mi avvicinai al suddetto full-length che mi lasciò piuttosto freddino, un lavoro alle mie orecchie non particolarmente interessante o maturo che aveva dalla sua (solamente) una performance strumentale di tutto rispetto.
A distanza di tre anni (e con una lineup rinnovata), la band torna sul mercato con questo
"Naturalis", uno pseudo-concept album incentrato sugli eventi naturali ispirato dallo tsunami giapponese del 2011. Oggi come allora, il principale responsabile delle composizioni è il "chitarrista prodigio" (allievo di Sua Maestà
Guthrie Govan)/cantante/produttore
Luke Machin, giovane musicista che, da quel che si legge in giro, sembra avere un'autostima invidiabile (chiariamo subito, non lo conosco, è un'impressione).
E proprio come allora, questi
Maschine continuano a lasciarmi perplesso. Un po' "se la cercano", nel senso che 6 tracce per 52 minuti di musica non sono proprio facili da digerire e, in secondo luogo, il sopraccitato
Luke, non me ne voglia, ma non è che sia un fenomeno al mixer (una produzione così mi sarebbe andata bene dieci/quindici anni fa, non nel 2016, almeno questo è quello che penso io).
Apre le danze la lunga
"Resistance", un
pastiche di sonorità OSI, prog tradizionale e assoli di matrice fusion (debitori di
Allan Holdsworth e, in parte, di
Tony MacAlpine) penalizzata da linee vocali non proprio incisive.
"Night And Day" è più interessante, con il suo riff quasi grunge da cui nasce una melodia marcatamente prog che evolve in una canzone curiosa ma piacevole (forse è un po' troppo variegata la coda).
"Make Believe" è noiosetta per cinque minuti buoni (ricorda vagamente
"Ashes", precisando che lo spettro dei Pain Of Salvation aleggia per tutta la durata del disco) prima dell'entrata a gamba tesa del 5/8 a risvegliare dal torpore.
"Hidden In Plain Sight" è un altro brano ricchissimo di idee che spaziano dall'alternative alla disco-music, dal crossover al pop (soprattutto nelle parti cantate, orecchiabili ma un po' scontate). Discorso simile si può fare per
"A New Reality", un ponte ideale tra passato e futuro del prog con timbriche vintage e armonie più moderne, caratterizzata da un (troppo) deciso cambio di rotta dalla metà che sfocia in uno strumentale fusion
tout-court.
"Megacyma" è sicuramente la traccia più riuscita del lotto, tra melodie ipnotiche che mi hanno ricordato i Goblin, metal "senza fronzoli", linee vocali ficcanti, buone aperture melodiche, sfumature djent e un bel break dal sapore marziale che porta alla (non meravigliosa) chiusura.
La sufficienza c'è tutta, ma rimango del mio parere (sapendo di andare controcorrente): credo che di strada da fare per i cinque britannici ce ne sia ancora parecchia...
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