Copertina 6,5

Info

Genere:Prog Rock
Anno di uscita:2016
Durata:61 min.
Etichetta:Self-Produced

Tracklist

  1. EN DESPED
  2. FALLAENN
  3. POLTRED
  4. AN HIVIZENN
  5. HIRNEZ
  6. KELC'H
  7. PEDENN
  8. VALGORI

Line up

  • Brieg Guerveno: vocals, guitar
  • Xavier Soulabail: bass
  • Joachim Blanchet: drums, keyboards
  • Eric Cervera: guitar

Voto medio utenti

In un certo senso Brieg Guerveno è l'anello di congiunzione tra Steven Wilson e Mikael Akerfeldt. Pur non avendo il gusto del primo o il talento del secondo, il cantante è comunque in grado di scrivere del discreto prog rock che, nonostante l'essenza indubbiamente derivativa, strizza l'occhio al passato senza risultare inutilmente nostalgico (Tony Lindgren dei Fascination Street Studios ci mette ancora una volta del suo).

I brani di "Valgori" sono mediamente lunghi e hanno nell'utilizzo della lingua bretone per le liriche il principale motivo d'interesse. Si parte con "En Desped", traccia dallo spettro dinamico molto ampio, nella miglior tradizione degli autori sopraccitati, cui segue la più alternativa "Fallaenn", dalle tinte quasi grunge. "Poltred" rimanda alle sonorità di "The Incident", così come "An Hivizenn" non può non ricordare gli Opeth, nonostante l'introduzione marcatamente sperimentale. "Hirnez" aggiunge elementi post, mentre "Kelc'h" lascia spazio alle atmosfere rarefatte e al narrato a discapito del cantato. L'intima "Pedenn" dagli stacchi strumentali tipicamente progressivi sfocia nella titletrack, il cui piglio Seventies ha il sapore dei Green Carnation più acustici.

Per quanto affascinante, credo che la lingua bretone non sia così determinante nell'economia del sound di Brieg Guerveno. È pur vero che se non fosse per l'idioma di cui sopra questo disco sarebbe "uno dei tanti" esempi di prog rock contemporaneo che nulla aggiunge e nulla toglie a quanto fatto da altri artisti prima del francese. La prova è sicuramente più che sufficiente, ma difficilmente troverà spazio in contesti più ampi del sempre più fitto circolo underground.
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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