Come, ne sono certo, sa molto bene il nostro pubblico di “gloriosi”,
Michael Bolotin non è sempre stato un
million seller “piacione” e languido, adatto a svariate complicità di “cassetta” nonché ospite perfetto per gli spettacoli televisivi del sabato sera.
La sua parabola artistica è in realtà iniziata con una brillante prestazione collettiva con i Blackjack, per poi sfornare alla metà degli anni ottanta almeno due autentici capisaldi dell’
AOR statunitense (l’omonimo del 1983 e, soprattutto, il fenomenale “
Everybody's crazy” del 1985, che non può proprio mancare nelle collezioni degli appassionati del genere).
Dopo un altro paio di lavori già orientati all’
easy listening, ma ancora più che dignitosi (“
The hunger” e “
Soul provider”), la splendida ugola “negroide” di
Bolton (qualcosa tra
Bob Seger,
Joe Cocker e
Paul Rodgers) si è completamente consacrata al
mainstream, cagionando una profonda delusione negli animi dei suoi tanti
fans della “prima ora” e determinando contestualmente un repentino incremento nelle sue finanze.
Ora, la notizia di una collaborazione tra
Michael Bolton la
Frontiers Music, ormai indiscutibile punto di riferimento discografico internazionale per l’intero settore del
rock melodico, stimola fatalmente, anche nel più pragmatico degli
AOR-sters, qualche inconfessabile auspicio di un ritorno all’antico... niente da fare, anche quel vago barlume di speranza è cancellato da un disco che s’intitola "
Songs of cinema" e si prefigge essenzialmente di omaggiare alcuni classici della storia della cinematografia tramite la riproposizione dei loro temi musicali portanti.
Un albo di
cover, insomma, infarcito per lo più di
evergreen da piano bar (o al massimo, da
night club), eseguiti e interpretati in maniera pressoché impeccabile e tuttavia pure abbastanza inerti e banalotti, anche volendo inquadrare il tutto in un’ottica “generalista”.
Le ennesime versioni di “
When a man loves a woman”, “
Stand by me” (dalle omonime pellicole) e “
Heard it through the grapevine” (del seminale
Marvin Gaye, tratta da “
Il grande freddo” di
Lawrence Kasdan) lasciano l’astante tanto ammirato (per la maestria nell’emissione fonica) quanto impassibile (sotto il profilo emotivo), mentre peggio di loro riescono a fare “
I will always love you” (
hit portato al grande successo da
Whitney Houston anche grazie all’inclusione nella colonna sonora di “
Guardia del corpo” ... qui ripresa dal nostro con il contributo di
Dolly Parton, in realtà autrice del pezzo ...), “
Somewhere over the rainbow” (da “
Il mago di Oz”, dove è cantata da
Judy Garland) e la
jazzy “As time goes by” (
leitmotiv di “
Casablanca”), caratterizzate da brandelli di stucchevolezza parecchio evidenti.
Tra i momenti più intriganti segnaliamo invece una finalmente vivace “
Old time rock & roll” (tratta da “
Risky business - Fuori i vecchi... i figli ballano” ... le signorine in particolare ricorderanno la scena in cui un giovane
Tom Cruise si dimena in camicia, mutande e calzini sulle note di questo
singolone rootsy targato proprio
Bob Seger & The Silver Bullet Band) e la conclusiva “
Jack Sparrow”, gradevole trascrizione in forma
symphonic-slow di un pezzo dei comici e musicisti The Lonely Island (gustatevi il relativo
video, con lo stesso
Bolton tra i protagonisti).
Una grande voce ormai irrimediabilmente “persa”, uno spreco (almeno per l’arte!) a cui rassegnarsi senza appello, ma anche la conferma del considerevole prestigio conquistato dall’etichetta napoletana ... mentre cerco di scacciare con prepotenza dalla memoria le melodie galvanizzanti della divina "
Can't turn it off" (scritta con
Mark Mangold, un altro “nobile”,
ahimè, un po’ “decaduto” ...), decido, tutto considerato, di concedere una risicata sufficienza all’opera ... e poi non si dica che la riconoscenza non è di questo mondo.