Partiamo da due assiomi fondamentali. Il primo è che i
Barock Project sono una delle realtà italiane più sottovalutate di sempre, almeno nel Belpaese (all'estero hanno una nomea sicuramente diversa): producono ottima musica da ormai più di dieci anni con continuità, dedizione e, soprattutto, per il piacere di farlo, non per necessità. Il secondo è che
Luca Zabbini è con molta probabilità il miglior tastierista attualmente in circolazione (non perché "va più veloce" di qualcun'altro, anche se potrebbe, ma semplicemente perché ha classe e gusto da vendere) e sono proprio curioso di sapere in quanti ne hanno mai sentito parlare...
Come già accennato in apertura, la storia della band ha origine lontane, ma nonostante questo i
Barock Project sono riusciti a portare avanti il loro discorso musicale con coerenza, trovando ad ogni uscita un
"quid" in grado di caratterizzarne il sound
"hic et nunc" (si vede che ho studiato latino al liceo?).
Rimasti orfani del cantante storico
Luca Pancaldi (qui sostituito dal già citato
Zabbini e dall'ospite
Peter Jones su due brani)
"Detachment" si discosta dal precedente
"Skyline" (datato 2015) per un sound un po' più ruvido e per una ricerca timbrica attualizzata e vagamente più distante dai canoni del prog classico a cui il combo si è sempre ispirato.
La brevissima
"Driving Rain" sfocia in
"Promises", primo brano vero e proprio del full-length (curiosamente firmato dal batterista
Eric Ombelli): incipit elettronico, evoluzione prog rock, splendide aperture melodiche e sorprendenti momenti heavy (forse un po' forzati) fanno già venire l'acquolina in bocca.
"Happy To See You" è una meravigliosa traccia wilsoniana per gusto e vena melodica, con
Zabbini e
Mazzuoccolo protagonisti assoluti in fase solistica.
"One Day" è un indiscutibile tributo agli anni d'oro del genere, con echi di
Steve Hackett, Jethro Tull e PFM, in totale antitesi con l'esotica/folk
"Secret Therapy", dalle linee vocali marcatamente pop.
"Broken" è un altro pezzo riuscito a cavallo tra il disimpegno dei Supertramp e la teatralità dei Queen, con l'apporto della voce di
Ludovica Zanasi, e fa il paio con
"Old Ghosts", brano carico di influenze che vanno dal sound design all'hard rock. La struggente
"Alone" (ascoltate la prestazione di
Zabbini e confrontatela con un piano/voce a caso di un
Jordan Rudess qualsiasi, poi ne riparliamo) anticipa la lineare
"Rescue Me", un po' Toto e un po' Frost*. L'attacco di
"Twenty Years" è disorientante (sembra di ascoltare
"Lullaby For Lucifer", non so se mi spiego), poi le timbriche sintetiche ci riportano al presente e a sonorità progressive più canoniche.
"Waiting" è interamente giocata sul contrasto tra suoni acustici ed elettronici, mentre
"A New Tomorrow" mette a sistema le sonorità epiche, cinematografiche ma soffuse di
Michael Kamen con l'hard-prog dei Kansas. Il finale (
"Spies") è in punta di piedi, ma ci regala comunque un "twist" al terzo minuto a metà strada tra heavy metal e swing.
L'unica critica che si può muovere ai
Barock Project è che "chiedono molto" a chi li sta ascoltando. Ma se avete la pazienza di stargli dietro, state tranquilli che non ve ne pentirete...