Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2005
Durata:non disponibile
Etichetta:Rough Trade

Tracklist

  1. THE EIGER
  2. LAVENDER
  3. SPIRITS
  4. RUN THROUGH MY HAIR
  5. HIGH LIFE
  6. DID I DIE
  7. YOU’RE DRIFTING
  8. CHARLEMAGNE
  9. KNOW
  10. HEAVENLY CHOIR
  11. LEAVES
  12. THE BEGINNING IS NIGH
  13. AUGUST MORNING IS HAZE

Line up

Non disponibile

Voto medio utenti

Ogni album degli Oneida è una storia a sè. Non si può mai prevedere dove andrà a parare questo trio di creativi neo-hippie Newyorkesi, dal nome ispirato ad una famosa comunità utopica degli States.
Rock, stoner, noise, elettronica, sperimentazione, psichedelia, questa band ha sempre mostrato di possedere una mentalità aperta come pochi, una visione musicale ampia e multiforme vicina alla concezione dei collettivi rock settantiani. Il trio americano, pur avendo concretizzato nel tempo una certa popolarità di nicchia, è rimasto comunque una piccola realtà underground e quindi procede per la propria strada slegato da problematiche di mercato, sentendosi libero di seguire soltanto l’estro del momento.
Dunque nel presente “The wedding” gli Oneida compiono l’ennesima giravolta stilistica abbandonando radicalmente la frenesia noise del recente passato, nello stesso tempo rinunciando alle suites tracimanti per recuperare integralmente la forma-canzone più tradizionale.
Però ciò che colpisce maggiormente è l’affermazione di un’identità del gruppo votata alla poesia ed alla placida riflessione, un’anima pastorale che si esprime con sognanti ballate cantautorali dalla struttura leggera e sfumata. Buona parte del disco è infatti composta da lievi pennellate psycho-pop di pregiata fattura immerse in un’atmosfera fiabesca, con una massiccia presenza di inattesi archi ed altri disparati elementi acustici ad illuminare un volto folk-classicheggiante che raramente gli Oneida avevano mostrato in precedenza (“The eiger, Run through my hair, Charlemagne, August morning is haze”).
Alcuni episodi sono addirittura affidati in maniera minimale unicamente alle linee vocali, a tratti quasi liturgiche, legate ad un sottofondo sonoro appena abbozzato (“You’re drifting, Know, Leaves”) per un impatto che vuole fare della leggerezza onirica la sua carta vincente. Le alternative a questi toni soffusi e romantici si esauriscono in qualche ritmato slancio elettronico era-krautrock (“Lavender, Heavenly choir”) oppure in rari camei psichedelici carichi di impressionanti sentimenti di abbandono, profumati di essenze orientali (“Spirits, The beginning is nigh”) o ancora dal deciso taglio acido-floydiano (“Did I die”).
L’impressione è che gli Oneida abbiano voluto dimostrare di saper maneggiare anche le canzoni classiche e le strutture impalpabili, realizzando un’album che è un quasi ininterrotto invito al quieto rilassamento. Risultato che probabilmente desterà perplessità in coloro che ad esempio si erano esaltati con gli elettro-mantra di “Each one, teach one”, i quali alla luce del nuovo lavoro appaiono un lontano ricordo. Anche se l’obbiettivo di abbassare il livello di fisicità ai minimi storici può essere frutto più di una calcolata forzatura che di naturale predisposizione, l’album nel suo complesso trasmette sensazioni piacevoli. Occorre però essere mentalmente predisposti a seguire gli Oneida nel loro leggiadro viaggio alla scoperta del lato etereo del rock.

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