Gran pippone iniziale.
Ci sono poche band che sento di conoscere bene quanto gli
Iced Earth, la formazione di
Schaffer è infatti stata tra le cose migliori uscite dagli anni '90 con il suo mix di power, bay area thrash, quell'alone oscuro e tanto differente dal caciaroso metal tedesco (che pur amo) o dalle finezze di quello scandinavo. Il fu giovane Frank ascoltava a ripetizione i vari
Burnt Offerings (capolavoro della band), il tetro
The Dark Saga, il grandioso
Something Wicked, ammirando uno dei migliori cantanti mai esistiti del metallo tutto (
Matt Barlow) e suonando nella sua cameretta tutto
Days of Purgatory ogni settimana, godendo al massimo di tutta la potenza del quintetto americano. Questo periodo di splendore è poi sforato nei primi anni 2000 e culminato con il monumentale tour del discreto
The Horror Show, la cui data da oltre tre ore al defunto Rolling Stone di Milano, mi ha lasciato con un cimelio in mano (la bachetta rotta e zozza di
Richard Christy) e negli occhi una prestazione davvero sentita, vissuta dalla prima fila.
Da li in poi tutto è cambiato.
Gli Iced Earth sono diventati un baraccone vuoto, un ensamble assolutamente ed inspiegabilmente sopravvalutato rispetto a quanto dimostrato in studio, dove si sono rovinati con una serie di album di mestiere figli della poca ispirazione, della cocciutaggine di Schaffer ed il suo insistere sulla Guerra Civile Americana, su riff copia-incolla "trrr tt trrr tt" o sull'allungare il brodo con saghe e storie che gia avevano detto tutto. Se a questo aggiungiamo cantanti che andavano e venivano, insomma, sembrava tutto finito. Poi è arrivato
Stu, buon imitatore e ottimo performer, che si è inserito perfettamente nei meccanismi della band, si è creata una buona intesa con
Jon, l'ispirazione è parzialmente tornata e gli
Iced Earth se ne sono usciti con
Dystopia, un disco discreto con 3/4 pezzi di primissimo ordine. Questo rinnovato entusiasmo è stato perfettamente immortalato sul buon
Live in Ancien Kourion ma non è proseguito sul successivo
Plagues of Babylon, un album che tra il suo essere ancora ripetitivo ed il non saper sviluppare adeguatamente strutture e riff, rimane un ascolto solo più che sufficiente, tenuto a galla da una manciata di brani nella parte centrale.
Tutto questo per dire che sì, ho amato tanto questa band e una buona curiosità (senza grande speranza) mi lega ancora ad essa, ma sì, so essere obiettivo.
Breve (se...) recensione.
Incorruptible, purtroppo, è l'ennesimo disco degli
Iced Earth presentato bene, visivamente accattivante ma musicalmente povero. Lo dico subito, penso sia forse il peggiore album della band americana da quando
Stu è alla voce. Il signor
Block nei toni medi cerca finalmente di staccarsi dall'imitare il compianto
Barlow e prova a trovare la sua via, negli alti rimane certo un buono screamer, ma proprio su questo nuovo lavoro ha spazio come mai prima d'ora per dare sfoggio del suo range vocale, includendo alcune parti sporche che ricordano il suo passato negli Into Eternity. Ad accompagnare tanta varietà vocale c'e, invero, tanta varietà musicale, con uno
Schaffer che pesca da tutta la discografia della band per mettere insieme un disco vario che passa dai toni epici, a quelli malinconici, al thrash serrato; tutte varianti della base power-thrash tipica dei Nostri.
Il problema è che prende ispirazione da altre sue canzoni, ricicla, riduce all'osso le strutture, allunga il brodo... l'effetto è mortificante e finisce che il tiro, la verve, venga a mancare del tutto. Quasi tutti i brani soffrono di questo problema che, per un ascoltatore che si approccia agli
Iced Earth con questo disco è obiettivamente poco percepibile ma se si ha una buona conoscenza anche solo di 2/3 lavori della band, diventa davvero grosso. Reggono alla prova degli ascolti e si candidano a brani più riusciti del lotto, l'iniziale
"Great Heathen Army" (davvero un buon pezzo) e la strumentale
"Ghost Dance", in cui finalmente potenza e melodia si incastrano bene, sprigionando una buona botta e la voglia di premere nuovamente play. A queste canzoni, si aggiungono i 9,30 minuti della conclusiva
"Clear the Way (December 13th, 1862)" che tra il suo flavour epico e l'osare qualcosina di nuovo, riesce ad essere almeno interessante. Il resto del disco, come detto, è composto da pezzi insipidi, a volte carini (
"Brother",
"Defiance", la slayer-style
"Seven Headed Whore") a volte brutti e troppo ridondanti (
"Raven Wing",
"The Relic",
"Black Flag"). Detto di
Stu e del songwriting pressapochista di
Schaffer, passiamo a
Jake Dreyer. Segnatevi questo nome. Ottimo chitarrista, grande amante di
Jeff Loomis (come stile eh, non ci sono doppi sensi. Anche se su Incorruptible limita questa sua influenza) e mastermind dei suoi Witherfall (che si sono presentati ad inizio 2017 con un grande disco), è il nuovo chitarrista degli
Iced Earth, vero valore aggiunto di una formazione che sul lato solistico e dell'inventiva ha spesso lasciato a desiderare. È lui che tiene a galla (a stento) il nuovo
Incorruptible. È realmente piacevole godere degli inserti melodici e degli assoli sapientemente dosati (no sbrodolate) dal buon
Jake, tanto che si scorrono i pezzi del disco aspettando il suo intervento risolutore. Nota a margine, da segnalare il ritorno dietro al drum kit di
Brent Smedley (che aveva dovuto lasciare anni addietro per problemi famigliari), autore di una prova potente ma abbastanza quadrata che putroppo non riesce ad aggiungere accenti o ricami per portare maggiore interesse all'interno dei brani. Sicuramente non un limite suo ma una direttiva del Capo.
Tirando le somme, la curiosità iniziale verso Incorruptible ha lasciato spazio ad una amara realtà, ampiamente preventivata, ovvero quella di trovarci davanti ad un disco di mestiere, che cerca affannosamente di portare avanti il grosso nome della band, deludendo i fan storici ma facendo la felicità di ascoltatori "mordi e fuggi" e di chi si accontenta del minimo sindacale presentato in modo roboante e scintillante.
Sempre molto curata la presentazione, con vere copertine-alternative per molte canzoni.