Quando arrivi a 69 anni e hai dietro le spalle una carriera di quasi 50 anni, puoi davvero permetterti di tutto. Puoi permetterti di chiamare a te un tot di amici famosi e pubblicare un album per il puro piacere di farlo (“
Hollywood Vampire”). Oppure puoi permetterti di far passare sei anni dal tuo precedente lavoro in studio, e di pubblicare qualcosa di nuovo soltanto quando sei veramente ispirato e hai voglia di farlo. Beh, è esattamente quello che ha fatto
Alice Cooper, giunto, con questo “
Paranormal” al suo ventiseiesimo disco in studio, e scusate se è poco. E quando ti chiami
Alice Cooper puoi decisamente toglierti diversi sfizi, come chiamare alla tua corte gente del calibro di Roger Glover, Billy Gibbons o Larry Mullen, oppure tornare a collaborare con quel guru della produzione che risponde al nome di Bob Ezrin, o, infine, di richiamare i tuoi vecchi compagni di merenda della Alice Cooper Band e comporre insieme a loro due pezzi nuovi di pacca dopo più di quarant’anni. Questa in sintesi la genesi di “
Paranormal”, ma sarebbe davvero un crimine fermarsi soltanto a questi che sono e restano puri e semplici dati statistici, perché il disco in sé vale davvero molto, e dimostra come il buon zio Alice non abbia minimamente intenzione di appendere bastone e cilindro al chiodo e lasciare il testimone a qualche giovane adepto (a chi poi??).
L’album è una perfetta sintesi di tutto quanto fatto da
Alice fino ad oggi. Se dal punto di vista lirico siamo come sempre davanti ad un perfetto mix di denuncia, ilarità ed ironia, per quanto riguarda quello musicale si passa dalle sonorità più moderne di “
Paranormal”, che vede la partecipazione di Roger Glover, “
Paranoiac personality”, e “
Fireball”, a quelle più classicamente rock vecchia maniera di “
Dynamite road”, e della spumeggiante “
Fallen in love”, con Billy Gibbons che piazza un assolo splendido dei suoi, senza dimenticare richiami quasi punk (“
Rats”, che ricorda i New York Dolls), hard rock (le potenti “
Dead flies” e “
Private public breakdown”) o broadwayani (“
Holy water”, che mette in evidenza il lato più teatrale e gigionesco di
Alice). Discorso a parte merita, invece, “
The sound of A”, che ha citazioni fortemente pinkfloydane, a dirla tutta al limite del plagio, e resta un episodio quasi isolato rispetto alle dinamiche dell’album.
Ho volutamente lasciato per ultimi i due brani inediti registrati con la Alice Cooper Band, non a caso inseriti in fondo alla traklist del disco. La conclusiva “
You and all of your friends è più innocua, un semplice brano rock dal sapore molto seventies, gradevole da ascoltare, ma che non lascia grandi segni. Tutt’altro discorso, invece, per “
Genuine American girl”, che ci porta indietro di quarant’anni e incarna alla perfezione lo spirito originario della Alice Cooper Band, tre minuti frizzanti, con un coro che ti si ficca in testa al primo ascolto, e un trade mark inconfondibile, tanto forte da farti sperare che questa collaborazione non si limiti a questi due brani, ma possa sfociare in un album intero nei prossimi anni.
Per concludere, “
Paranormal” non farà certamente gridare al miracolo, ma è un disco dignitosissimo, messo su da un artista ancora in pienissima forma, che conferma di saper ancora scrivere ottimi brani e di avere ancora quel quid in più rispetto ai suoi tanti (e inutili) imitatori (chi ha detto Marilyn Manson?). Se il livello dei dischi pubblicati dalle nuove leve fosse almeno vicino a quello di questi grandi e vecchi leoni (Alice Cooper, Deep Purple, Van Halen, Black Sabbath, Uriah Heep e via dicendo…), la musica ne gioverebbe un sacco. Invece siamo invasi giornalmente da ‘
immondizia musicale’ (come diceva il buon Battiato in tempi non sospetti), per cui quando ci capita tra le mani un album come questo non lasciamocelo scappare, sarebbe veramente da ‘
stupid’…