Copertina 8

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2017
Durata:54 min.
Etichetta:Limb Music

Tracklist

  1. IL RACCONTO DELLA TEMPESTA
  2. RISING THROUGH THE MIST OF TIME
  3. DAUGHTER OF THE MORNING LIGHT
  4. MASTERS OF WAR
  5. BY THE EVERSPRING TREE
  6. THE STORM OF STEEL
  7. ABSENCE OF LIGHT
  8. WHEN THE BLIZZARD AWAKES
  9. IN EVERWINTER WAIT
  10. THE GIFT OF THE WHITE LADY
  11. THE SWORD'S WILL

Line up

  • Stefano Paolini: guitars
  • Daniele Bisi: vocals, keyboards
  • Nicolò Bernini: drums
  • Giuseppe Lombardo: bass

Voto medio utenti

Vicissitudini personali poco liete mi hanno impedito di gettarmi “a corpo morto” nel secondo album dei Fogalord, band per cui ho sempre avuto una predilezione spontanea fin da molto prima del loro debutto del 2012 “A Legend to Believe in” a cui fa seguito dopo ben cinque anni il successore “Masters of War”, da cui i Fogalord prendono moderatamente le distanze, presentando un album assai meno sinfonico, più grezzo e battagliero, in una sola parola più “diretto”, e sinceramente la cosa ci fa piacere, temendo sempre che qualsiasi band si faccia prendere la mano e faccia come i Rhapsody di Luca Turilli che alla fine hanno messo da parte il metal, sacrificato sull’altare del cinematographic-bombastic-score-soundtrack che alla fine di metal rimane davvero troppo poco.

Non è questo il caso di “Masters of War”, un disco che gioca tanto sui nostri sentimenti, quelli ispirati dai rimandi, dai ritorni delle melodie che aprono il disco nella meravigliosa intro “Il Racconto della Tempesta”, ispirata da un coro della montagna emiliana, e che successivamente rispuntano fuori nei brani successivi ma addirittura che rimbalzano nel tempo e vanno a ripescare temi e stralci di “A Legend to Believe In”, creando un effetto nostalgia che acuisce il nostro desiderio di power metal.

Power metal sì, in questo caso con qualche lieve influenza folk, il tutto dovuto all’uso di melodie caratteristiche del luogo, dell’uso della lingua italiana nonché della piva emiliana, una sorta di cornamusa in uso nel nostro appennino tra le province di Parma e Piacenza, abilmente suonata da Marcello Tioli, ed ancora la presenza del coro di Formigine, insomma tutti elementi che stanno a significare un grande lavoro dietro questa seconda pubblicazione dei Fogalord, nonché appunto la volontà di compiere una piccola ma significativa deviazione dal loro songwriting originario, a nostro avviso una mossa azzeccata anche perché dettata dalla passione, dalla volontà di riscoprire le proprie origini e, ovviamente non ultimo, un utilizzo delle melodie dannatamente azzeccato e ben bilanciato dalla presenza massiccia della chitarra di Stefano Paolini, ispirato e (fin troppo) veloce anche in fase di assoli, peraltro unico sopravvissuto insieme al fondatore Daniele Bisi rispetto al primo disco, a cui si sono succeduti Giuseppe Lombardo al basso e Nicolò Bernini alla batteria, formando una sezione ritmica efficace ed affiatata.

Il quadro della situazione è perfettamente concluso dall’ottimo packaging, un booklet non solo completissimo ma anche graficamente assai godibile, adornato peraltro dall’artwork ad opera di un certo Felipe Machado, per la gioia di chi ancora i dischi li compra fisici e non riesce a digerire l’utilizzo digitale della musica; il risultato sonoro è altresì eccelso, con l’accoppiata del mix di Frank Andiver ai suoi Zenith e del master di Luigi Stefanini agli storici New Sin di Loria.

Negli undici brani contenuti in “Masters of War” troviamo la già citata iniziale e funzionante intro, più altri due brevissimi e riusciti intermezzi, un paio di ballads (particolarmente azzeccata “Daughter of the Morning Light” di cui vedete il video in calce a questa recensione ed in cui l’utilizzo della sopracitata piva è decisamente godibile), tre pezzi a tutto bordone, forse i più rappresentativi del disco tra i quali senza dubbio la quasi opener “Rising through the Mist of Time”, un paio di mid-tempos (situazioni che a nostro avviso sono i momenti migliori espressi dai Fogalord, più dei brani tirati con doppia cassa ad elicottero) carichi di pathos ed epicità da cui risulta vincitrice sebbene di poco “Absence of Light” e la classica e lunga suite finale di limbiana memoria “The Sword’s Will”, 13 minuti che sono la summa dei Fogalord, tra cori epici e battaglieri, pathos alle stelle, rallentamenti e ripartenze, assoli stentorei in cui non potrete fare a meno di sfoderare la vostra ascia del potere, lanciare la sua punta in alto verso il cielo e sfidare il sole, correndo nudi per il balcone mentre i Fogalord suonano la soundtrack del vostro delirio personale.

Questo album, per concludere, mi ha ricordato un po’ “Fire on the Mountain” dei Twilight of the Gods uscito nel 2013 per Season of Mist, non certo per soluzioni stilistiche, ma per il valore, il risultato e la longevità.

Masters of War” non è certo un disco perfetto o esente formalmente da difetti, la produzione per quanto si possa adorare a livello personale o sentimentale potrebbe essere non al passo dei tempi o ancor maggiormente la prestazione vocale di Daniele potrebbe far storcere il naso a qualche purista, a causa di qualche incertezza o di un timbro che lo fa un buon interprete ma non certo un fuoriclasse del microfono…eppure questi difetti sono anche la forza dei Fogalord.

Così come quel “Fire on the Mountain” era un disco pieno di difetti ma che in questi quattro anni ho letteralmente consumato, molto di più di altri dischi formalmente perfetti e senza alcuna imperfezione ma decisamente più freddi e ragionati, questo “Masters of War” è un disco che trasuda passione, attitudine ed emozione, cos’altro dovrebbe suscitare la musica, e quando ci si emoziona si esagera, si travalica, si sbaglia anche ma, per Giove, si vive.

E noi viviamo l’heavy metal e di heavy metal.

Recensione a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 23 ago 2017 alle 17:56

Come per il precedente, sempre recensito dal buon (anzi ottimo) Graz, anche in questo caso faccio seriamente fatica ad apprezzare l'operato dei nostri Fogalord, principalmente per una prestazione vocale non all'altezza che, dal mio punto di vista, si traduce non solo in un timbro poco convincete e poco adatto, ma anche sull'intonazione direi che non ci siamo. Poi mi sembra che rispetto all'esordio, la qualità globale del sound e del songwriting sia leggermente calata...insomma un prodotto troppo amatoriale per gli standard odierni del genere e di altri generi. Se penso che in Italia abbiamo fenomeni tipo gli Elvenking che si piazzano ai massimi livelli per quanto riguarda il power/folk, questi continuo a bocciarli :P

Inserito il 15 ago 2017 alle 00:53

sono contento che ti piaccia :)

Inserito il 14 ago 2017 alle 17:58

Peccato che i più si perderanno questa meraviglia.

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