Copertina 8,5

Info

Past
Anno di uscita:1984
Durata:39 min.
Etichetta:CBS Records

Tracklist

  1. OH SHERRIE
  2. I BELIEVE
  3. GO AWAY
  4. FOOLISH HEART
  5. IT'S ONLY LOVE
  6. SHE'S MINE
  7. YOU SHOULD BE HAPPY
  8. RUNNING ALONE
  9. CAPTURED BY THE MOMENT
  10. STRUNG OUT

Line up

  • Steve Perry: vocals
  • Craig Krampf: drums
  • Larrie Londin: drums
  • Randy Goodrum: drum programming, keyboards
  • Bob Glaub: bass
  • Chuck Domanico: bass
  • Kevin McCormick: bass
  • Brian Garofalo: bass
  • Michael Landau: guitars
  • Waddy Wachtel: guitars
  • Craig Hull: guitars
  • Billy Steele: guitars
  • Steve Goldstein: keyboards
  • Sterling Smith: keyboards
  • Bill Cuomo: keyboards
  • Duane Hitchings: keyboards
  • Robert Greenridge: keyboards
  • Steve Douglas: sax

Voto medio utenti

La notizia dell’imminente ritorno (previsto per ottobre, a quasi venticinque anni da “For the love of strange medicine” …) del divino Steve Perry, oltre a causarmi un’inusitata forma di trepidazione, mi ha anche indotto a rintracciare, nel “caos cosmico” della mia collezione discografica, il suo debutto da solista, che, lo ammetto, ai tempi dei primi contatti, mi destò non poche perplessità.
Da un semplice “riascolto” a una recensione retrospettiva da affidare alla webzine più gloriosa del globo terracqueo il passo, per un grafomane compulsivo come me, è breve, anche perché sento di dovere delle “scuse” pubbliche a “Street talk” e al suo autore che, per la cronaca, considero il sovrano assoluto della fonazione modulata in campo Adult Oriented Rock.
A parziale discolpa lasciatemi dire che arrivare dopo due capolavori dei Journey del calibro di “Escape” e “Frontiers” non era un’impresa per niente facile, e che il suo taglio pop n’ soul, sebbene inserito in un’ottica tipicamente AOR, finì per non consentirmi di apprezzarlo fino in fondo, relegandolo per troppo tempo tra i dischi “belli” ma non entusiasmanti.
Un errore, sicuramente, perché nonostante l’indiscutibile “leggerezza”, tra questi solchi risiede una forza espressiva prodigiosa e si sublima la voglia di un artista enorme di scandagliare gli aspetti più melodici e soffusi del suo songwriting e delle sue immense capacità vocali.
E allora, prima di addentrarci nei contenuti specifici del programma, inquadriamo brevemente il “contesto storico” dell’opera … 1984, appena concluso il tour di supporto a “Frontiers”, i Journey decidono di prendersi una non meglio precisata “pausa di riflessione”, concedendo a due dei pilastri della band di dedicarsi alle loro velleità “parallele”.
Così, se Neal Schon dà vita agli HSAS (con Sammy Hagar, Kenny Aaronson e Michael Shrieve … e credo anche il loro “Through the fire” meriti una doverosa riscoperta …), “The Voice” (come lo definì Jon Bon Jovi …) sceglie di avviare una carriera “in proprio” assoldando un manipolo di eccellenti professionisti dello strumento musicale (con alcuni di loro, come Randy Goodrum, Craig Krampf e Bill Cuomo, che contribuiscono anche alla scrittura dei brani).
L’albo conquista un grande successo di pubblico e critica, grazie alla classe innata di un Perry capace di non perdere una stilla della sua eccelsa classe anche in un contesto maggiormente mainstream.
Una valutazione cui il sottoscritto giunge pienamente, come anticipato, nella sua maturità e che gli permette di considerare “Oh Sherrie” (dedicata a Sherry Swafford, all’epoca compagna del cantante) una deliziosa ballata romantica, “I believe” un gagliardo omaggio ai campioni del R&B e "Foolish heart” una suggestiva promenade notturna tra i vellutati vicoli delle sette note.
Scampoli della magnificenza della “navicella madre” rivivono in brani come “Go away”, “She's mine”, “You should be happy” e “Running alone” e se la vivace “It's only love” sfoggia addirittura barlumi calypso, “Captured by the moment” induce a momenti di nostalgia e riflessione e “Strung out” trasmette all’astante un’appassionante tipologia di raffinata spensieratezza, un po’ alla maniera di un altro indiscusso protagonista del settore, Mr. Bryan Adams.
Street talk” rappresenta, dunque, un passaggio assai importante (il suo approccio espressivo avrà ripercussioni anche nel successivo capolavoro dei Journey, “Raised on radio”) nella parabola artistica di Steve Perry e, saldato il mio “debito morale” nei suoi confronti, mi auguro di cuore possa essere riscoperto da quella parte dei nostri lettori che sa ancora riconoscere, indipendentemente dal “genere”, la straordinaria bellezza di un’emozione.
Ah, beh, superfluo a questo punto ribadire quanto l’attesa per il nuovo “Traces” sia davvero spasmodica …
Recensione a cura di Marco Aimasso

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