Può una band arrivata quasi a cinquant’anni di carriera risultare ancora credibile? Può competere con le nuove leve, sempre più tecnologiche e agguerrite? Può ancora, dopo tutti questi anni, tirar fuori un disco valido ricco di brani incredibili? Può continuare a trovare la giusta ispirazione nonostante abbia già scritto centinaia di riff e melodie nel corso della propria carriera? Se vi siete fatti tutte queste domande prima di leggere questa recensione, evidentemente non conoscete affatto gli
Uriah Heep, in quanto la risposta ad ognuno dei quesiti posti in precedenza non può essere che una, ovviamente: SI!
Se avete invece seguito l’incredibile storia di questa band, sapete perfettamente che dopo i capolavori degli anni ’70 e dopo qualche passo falso a cavallo tra gli ’80 e i ’90, sono ormai almeno 10 anni che
Mick Box e soci stanno vivendo la classica seconda giovinezza e dalla pubblicazione di “
Wake the sleeper” in poi hanno incanalato una serie di dischi di livello incredibile, con picco toccato con
Into the wild, grazie anche alla fiducia incondizionata che la nostrana
Frontiers Records ha riposto in loro.
Questo nuovo “
Living the dream” arriva a ben quattro anni dal precedente “
Outsider”, e vi assicuro che il tempo impiegato a comporlo ha portato i suoi frutti, in quanto, IMHO, siamo addirittura un gradino più in su rispetto al suo predecessore. La formula ovviamente rimane la stessa di sempre, d’altra parte non ci sarebbe nessunissimo motivo di cambiarla, in quanto ormai rodata e perfettamente funzionante. Grandi brani, quindi, grandissima attenzione alle melodie e agli arrangiamenti, ai cori, da sempre peculiarità del gruppo, all’alternanza tra parti più rocciose ed altre più sognanti. I brani sono tutti di altissimo livello, nessun filler, nessun calo, solo tanta magia e tantissima classe.
Mick Box è un vecchio volpone, sa come mettere le mani sulla sua chitarra, e se ciò non bastasse ha dietro di se una squadra che dire vincente è riduttivo.
Russel Gilbrook e
Davey Rimmer sono ormai parte integrante del sound della band, formano una sezione ritmica solidissima, ed essendo i più giovani hanno portato una ventata di freschezza inaspettata. Permettono inoltre a
Box e
Lanzon di scatenarsi suoi propri strumenti e lasciar fluire tutta la classe di cui sono in possesso attraverso riff e assoli di prima classe.
Discorso a parte merita
Bernie Shaw. Sembra ieri, ma ormai sono più di trent’anni che è nella band, e nonostante i nostalgici continuino a rimpiangere il buon vecchio
David Byron, vi assicuro che il biondo crinito non ha molto da invidiargli. Voce possente ma al tempo stesso angelica e cristallina, ottima presenza scenica, simpatia, è il classico frontman che preferisce lavorare per la band e non per la vana gloria. Come sempre impeccabile nello scegliere melodie vocali che si memorizzino facilmente senza risultare banali e stucchevoli, è ormai un marchio di fabbrica dell’
Heep sound. Se, come dicevo prima, gli affiancate gli incredibili cori che da sempre arricchiscono le loro melodie, vi rendete conto di come l’apparato vocale sia parte fondamentale del gruppo, al pari dei riff di chitarra e dell’immancabile organo Hammond.
Dall’opener “
Grazed by Heaven” è un susseguirsi di pezzoni, che mettono in luce tutti gli aspetti del sound dei nostri, dall’hard rock al prog alle melodie sognanti: “
It’s all been said”, “
Rocks in the road”, “
Dreams of yesteryear”, “
Living the dream”, “
Waters flowin’”. Ma citare solo questi è riduttivo, perché come ho detto prima non ci sono brani brutti, il disco è valido dall’inizio alla fine.
Non so voi, ma io non riesco a capacitarmi di come gli
Heep, così come i Deep Purple, riescano ancora oggi a sfornare capolavori del genere, e a migliorare di disco in disco, quando invece molti loro colleghi di quella generazione campicchiano con tour commemorativi o suonando sempre e solo i vecchi brani. Qui si parla senz’altro di gente che ha una marcia in più, e, come “
inFinite per i DP, anche questo “
Living the dream” è qui a dimostrarlo in tutta la sua magnificenza! Come sempre, il futuro è nel passato…