Più instancabile di un attore porno sotto anfetamine, il nostro
Blaze proprio non vuole saperne di decelerare.
Così fra
tour vari ed eventuali,
concept spalmati su 3
album e
reissue in vinile, il Nostro trova anche il tempo per immettere sul mercato un nuovo dischetto acustico.
D’altro canto, come affermò
Philip Stanhope, IV conte di
Chesterfield, chi ha fretta mostra che la cosa che sta per fare è troppo grande per lui.
Non che mancassero i precedenti negativi da cui trarre insegnamento: il corpulento
singer di
Birmingham già nel 2013 aveva esplorato -e con poco costrutto- i meandri della musica priva di elettricità.
Il riferimento è al sorvolabile
EP “
Russian Holiday”, che peraltro troviamo anche nel nuovo “
December Wind” in veste di
bonus, con conseguente irrobustimento della
tracklist ad un totale di tredici brani per un’ora scarsa di musica.
Un po’ troppo per le orecchie del sottoscritto, soprattutto alla luce di un equivoco di fondo: lo sgraziato vocione di
Bayley non manca affatto di trasporto emotivo, e sa senz’altro reggere qualche parentesi più raccolta ed intimista.
Parentesi, per l’appunto, all’interno di composizioni che si giovano di chitarre elettriche e di sezioni ritmiche capaci di ispessire il
wall of sound.
Qui, invece, il suo timbro roboante viene lasciato pressoché solo (anche a causa di un mix sbilanciato e di una produzione, ad opera del fido
Chris Appleton, che spara le
vocals troppo frontalmente): non bastano la competente ma timida chitarra di
Thomas Zwijsen o il violino di
Anne Bakker a dargli manforte.
In tal modo, ahimè, emergono in modo ancor più vistoso le ben conosciute lacune in termini di controllo vocale, e si rischia di irretire l’ascoltatore con una serie di brani perlopiù apprezzabili se presi singolarmente, ma che proposti uno dopo l’altro, senza soluzione di continuità, tediano anzichenò.
I brani, visto che siamo entrati in argomento, variano dal godibile (il
folk pizzicato di “
Eye of the Storm” e le grintose melodie di “
The Crimson Tide” le prime a venirmi in mente), al tollerabile (“
Love Will Conquer All”, “
Miracle on the Hudson”), passando purtroppo per il discutibile (citerei “
The Love of Your Life”, sciocchezzuola simil-
rockabilly del tutto fuori registro, e la già nota “
One More Step”, inutilmente lamentosa nell’interpretazione quanto eccessivamente retorica nel testo).
Non si notano migliorie significative laddove ci si soffermi sulle
cover:
- “
Soundtrack of My Life” mi ha sempre garbato… peccato preferisca di gran lunga la variante metallizzata presente sull’ottimo “
Blood and Belief”;
- “
Sign of the Cross” riuscirebbe a risultare magnifica anche se arrangiata con vuvuzela e cantata da
Gigi d’Alessio; ciò non toglie che nella rielaborazione acustica di
Blaze si smarrisca tutta la travolgente drammaticità della porzione strumentale;
- “
2 A.M.” non faceva del dinamismo il proprio vessillo già nella versione originale degli
Iron, ma in questa veste assume contorni davvero spossati, soprattutto all’altezza dell’oltremodo fiacca strofa.
Ci troviamo quindi al cospetto di un’opera piuttosto estemporanea e raffazzonata (come lo stesso
artwork di copertina, ma sotto quel profilo
Bayley non ha mai saputo che pesci pigliare), tenuta artificiosamente assieme dal collante della matrice acustica ma nel complesso parca di effettivi spunti di interesse.
Azzardo un pronostico: l’opaco ricordo di “
December Wind”, come profetizzato dallo stesso titolo, sarà presto disperso dalle gelide folate dell’oblio discografico…