Alfieri di un genere che rivendicano di aver inventato, come affrontato in un video recap di un paio di settimane fa, i californiani
Atreyu hanno un po' perso il treno del successo quello dei "big money": non che adesso non si possano permettere qualche lusso, ma insomma il video del singolo "
In Our Wake" lanciato in agosto non ha ancora raggiunto il mezzo milione di visualizzazioni: i tempi del loro bestseller
Lead Sails Paper Anchor uscito per una major nel 2007 sono lontani e già dal successivo
Congregation of the Damned Alex Varkatzas e soci hanno imboccato un trend negativo che gli ha fatto perdere il contratto con la
Hollywood, condannati ad un paio di anni di stop per riprendere le energie ed infine ripiegare sull'europea Spinefarm che prima ha dato le stampe a
Long Live ed oggi al nuovissimo In Our Wake, settimo album per quella che magari non sarà proprio la formazione di maggior successo o che sarà ricordata tra gli esponenti più rappresentativi del metalcore, ma che senza dubbio negli anni ha saputo mantenere una certa identità ed una qualità di fondo, tra le evoluzioni del songwriting ed i cambiamenti occorsi da quel lontano
Suicide Notes and Butterfly Kisses uscito nel 2002 che squarciò la scena statunitense e non solo.
Senza dubbio la title track, non a caso scelta come singolo apripista, ci mostra il punto forte degli Atreyu: melodie facili, linee vocali accattivanti, strofe veloci e frizzanti quasi da beach pop punk che poi esplodono in un break e chorus tra i più riusciti che si possano ricordare negli ultimi anni nella scena metalcore ed a coronare il tutto c'è un assolo (!!) di scuola thrash, completamente fuori contesto e davvero bello, peraltro con un sound davvero a-la-
Suicidal Tendencies era
Lights Camera...Revolution che è una sorpresa che strappa un bel sorriso.
In generale questo In Our Wake sviluppa perlappunto trame chitarristiche più approfondite e curate ad opera della coppia
Jacobs/Miguel, sviluppando un lato degli Atreyu più maturo e rilassato; per tornare al passato bisogna arrivare fino a
Nothing Will Ever Change che mostra un Varkatzas più presente ed incentrato su una sorta di rap metal che attualmente pare essere stato un po' più accantonato del solito.
Tra echi di
Bio-hazard in salsa nu-metal (
Blind, Deaf and Dumb), anthemici cori da stadio (
The Time Is Now) e ballad non proprio riuscitissime che sembrano gli
Eiffel65 in chiave vagamente metal (
Terrified), si giunge agli episodi migliori del disco, ovvero
Safety Pin che di nuovo va a sfociare in territori beach/punk ma...tant'è, funziona, ed ancora
Jacobs fa un ottimo lavoro alla solista, così come nella successiva
Into the Open. Dopo un paio di brani che sono tra i meno riusciti del disco, si arriva al bel finale con la doppietta
Anger Left Behind, questa maggiormente ancorata al passato, e specialmente con
Super Hero, in cui appaiono ospiti prestigiosi come
M Shadows (
Avenged Sevenfold) ed
Aaron Gillespie (
Underoath). Al di la' delle illustri comparsate, gli inusuali 6 minuti e passa mostrano un lato degli Atreyu magari meno appetibile ma di maggior pregio ed interesse, con un flavour che pare quello - classico, mi rendo conto - della sigla finale di un bel film nostalgico estivo o di una serie strappalacrime come la memoria di Dawson's Creek mi suggerisce.
Alla fin della fiera, l'unica figura che ne esce un po' oscurata è proprio quella del leader
Varkatzas che nella figura del "growler" ne esce un po' ridimensionato di fronte all'enorme prestazione del clean vocalist
Brandon Saller, che peraltro è anche un ottimo batterista.
E scrive tutti i pezzi.
Non pensavo, invece gli
Atreyu non solo stanno superando indenni la prova del tempo ma dimostrano di avere una personalità ed una maturità che nel momento di maggiore successo non riuscivo a riconoscergli.
Ed, ovviamente, di tutto il movimento adesso sono i meno considerati: al solito, i più meritevoli sono quelli più accantonati.