Giungono al loro terzo full-length gli svedesi
VEONITY, formazione svedese dedita ad un power metal di scuola europea che si rifa' molto alle sonorità di inizio 2000 piuttosto che al power attuale di scuola sinfonico-pacchiana tanto in voga negli ultimi anni: sono invece i vecchi
Gamma Ray in primis la band di riferimento per
Anders Sköld e compagni e sin dall'iniziale "
Rise Again" questo amore si percepisce chiaramente e la cosa non può che renderci felici in quanto possiamo respirare a pieni polmoni atmosfere che ci riportano alla mente quel capolavoro di "
Somewhere Out in Space".
Rispetto ai primi due lavori, l'esordio "
Gladiator's Tale" del 2015 ed il successivo "
Into the Void" dell'anno seguente, entrambi pubblicati come il nuovo da
Sliptrick Records, sebbene siano stati sempre molto ben considerati, il miglioramento generale portato da "
Legend Of The Starborn" è evidente, il quartetto ha maturato nettamente il proprio songwriting, portando pressochè tutti i brani ad una buona media qualitativa, senza più momenti meritevoli di "skip".
L'unico problema rimasto nella musica dei Veonity, che in ogni caso è bene precisare essere MOLTO godibile e capace di momenti di grande fomento (sia nei brani più cadenzati come "
Starborn" sia in quelli più diretti e tirati come "
Guiding Light"...quanti temi "stellari" a noi così cari!) è la prolissità: il disco è troppo lungo, 14 brani sono troppi e gli stessi brani, quale più quale meno, presentano secondi o minuti di troppo che appesantiscono la proposta e fanno cadere in secondo piano o comunque smorzano tutti gli entusiasmi di un ritornello azzeccatissimo o di un assolo folgorante; senza tutti questi inutili passaggi ed orpelli si avrebbero brani decisamente più snelli ed asciutti (attualmente quasi tutti sopra i 6 minuti di durata) ed una durata totale meno spaventosa, perchè 73 ribadisco
SETTANTATRE' minuti sono un lusso che i Veonity non possono decisamente permettersi, perlomeno al momento.
Già eliminare l'intermezzo parlato, la lenta "
Lament" piuttosto insignificante come la sua controparte "
United We Stand" peraltro quasi appaiate, avrebbe giovato non poco.
Da segnalare la presenza di
Tommy Johansson dei
Sabaton in "
Winds of Asgard" che ci fa rimpiangere ancora una volta la sua decisione di aver messo in freezer i suoi
ReinXeed (ed i
Golden Resurrection) dato che il pezzo in questione è meraviglioso e sembra estratto da "
Majestic", uno dei migliori lavori della loro discografia.
Rimane in ogni caso un disco di power metal "old-style" più che godibile, caratterizzato dal cantato assai personale e riconoscibile del chitarrista
Anders Sköld, ottime melodie, impatto dei riff e delle chitarre sempre in primo piano e senza tante sinfonie pompose e plasticose a rovinare il tutto. Per il momento va benissimo così ma il potenziale è ancora superiore ed è quindi lecito attendersi altri miglioramenti, d'altronde la band è giovane e ha ancora tutto il tempo di crescere ma la strada imboccata è davvero lastricata d'oro per noi amanti del power metal europeo.
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