Los Angeles.
Scena delle Scene. Dove per eccellenza.
Una Canicattini estesa a dismisura. Pure trascendente.
California come "sicilia del mondo". Fonte inesauribile di "giallità" e "azzurrità". Sincretica in origine e ad ogni livello.
I Deathchant non sono aulici: suonano proto-metal, più per prassi che per maniera.
L'omonino debutto è un miscuglio attivo di trame sotterranee, minerali. Viventi. La voce stridula e acida s'incunea, scavando la pietra, come l'acqua. E goccia a goccia ne resta spesso intrappolata.
E si conviene che ogni fessura possa essere un condotto oppure un sifone mortale.
Nella metafora anche la realtà contiene lumi. Sta a noi usarli per metterci oltre il riparo.
LA lettura di Deathchant / Deathchant coincide, in effetti, col percorso del suono. Liquido: mercureo e vaporoso quando "tutto" è tessuto ad arte.
Scolpitevi ... andando: qualcosa va perso. Menomale, finalmente.
Sebbene certi assoli siano campati come le cascine a Milano teniamo salve le doline di prima. Anche il cantato qua e la vacilla tra continenti e svuota la possibilità di essere segno e
"gesto", purtroppo.
Stilemi "detti", se ci trovate meno di quanto faccia metal.it non è un problema: è come vanno le cose. E che volevo parlarvi del prima. Di come si arriva a farsi cose in testa.
Contraddicendo anche i voti le vastità e il "filtrato" che è la misura dell'ovvietà e del lavoro "in questione".
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