Avevo lasciato gli
Una Stagione all’Inferno alle prese con “
La ballata di Carini”, visionaria trascrizione della sigla del mitico sceneggiato “
L’amaro caso della baronessa di Carini” (inclusa nella
compilation-capolavoro “
… E tu vivrai nel terrore”) e ritrovarli oggi, dopo un così lungo periodo di preoccupante oblio, non può che essere una bellissima notizia.
Tanto più che il loro disco del “ritorno” (nonchè l’esordio sulla lunga distanza della
band) è semplicemente uno dei lavori più “impressionanti” dell’anno appena concluso, che avrebbe agevolmente trovato posto nella mia personale
Top Ten del 2018 se solo non fosse giunto con lieve ritardo al vaglio dei miei affaticati e tuttavia sempre avidi padiglioni auricolari.
Poco male, recuperiamo immediatamente il tempo perso rilevando come “
Il mostro di Firenze” meriti tutta l’attenzione degli amanti dei suoni oscuri e conturbanti, altamente evocativi, capaci di generare nell’ascoltatore tensioni emotive veramente difficili da ignorare.
Supportati da un paio di autorità della scena metallica nostrana del calibro di
Roberto Tiranti (Labyrinth, Wonderworld, ...) e
Pier Gonella (Ex Labyrinth, Mastercastle, Necrodeath), e poi abilmente spalleggiati da
Marco Biggi (ex Rondò Veneziano, ex Radio Gaga),
Paolo Firpo (Extemporaneo Trio) e da un valente terzetto d’archi (
Kim Schiffo, Laura
Sillitti e
Daniele Guerci), i due membri fondatori
Fabio Nicolazzo e
Laura Menighetti realizzano un’opera straordinaria, liberamente ispirata a una delle vicende di cronaca nera più aggrovigliate e ambigue del nostro contraddittorio
Belpaese, mai del tutto chiarita, tra depistaggi, moventi enigmatici (tra cui quelli legati al mondo dell’esoterismo) e una moltitudine d’ipotesi spesso assai fantasiose.
L’atmosfera sonica, come anticipato, è molto inquietante, brumosa e drammatica, immersa in un inventivo crogiolo espressivo dove
doom,
prog,
dark e
new-wave vengono arricchiti da effetti cinematografici (urla, passi, scrosci di pioggia, canto dei grilli, nenie, …) e da campionamenti dei telegiornali dell’epoca, a costituire un’esibizione artistica ad ampio spettro di enorme intensità, che combina in maniera assolutamente avvincente sgomento, soggezione e turbamento.
In tale contesto si potrebbero tranquillamente citare, a guisa di numi tutelari, i nomi di Metamorfosi, Balletto di Bronzo e Goblin (assieme a qualcosa di Joy Division, Diaframma e dei primi Litfiba) o ancora, nelle parti più sinfoniche, quelli di
Luis Bacalov e degli Osanna, ma la profondità nell’approccio ostentata dal gruppo genovese annichilisce ogni eventuale rischio d’indisponente
déjà vu e costituisce il cardine su cui erigere una personalissima reinterpretazione della “storia” del genere.
Inutile e pressoché “impossibile” isolare qualche episodio a discapito di altri … “
Il mostro di Firenze” è una continua, crescente, incognita e inesorabile manifestazione di meraviglioso malessere emozionale che va vissuta intensamente dal primo all’ultimo istante … o più, prosaicamente, se preferite, un’esperienza musicale di grande suggestione, estro e ispirazione che non dovete proprio lasciarvi sfuggire.