E' probabile che il nome Eric Burdon potrà dire poco, forse nulla del tutto, alla maggioranza degli utenti più giovani di questo sito, mentre dovrebbe accendere vecchi ricordi nei pochi lettori attempati, i quali si domanderanno se davvero parliamo della stessa persona che diede voce all'indimenticabile "The house of the rising sun", storico e celeberrimo hit degli anni '60.
Nessun dubbio, si tratta proprio del mitico vocalist dei The Animals, tornato a farsi sentire dopo un lungo periodo di silenzio con un album-tributo dedicato al genere musicale che più di ogni altro ha segnato la sua vita artistica: il blues.
Nato nel 1941 a Newcastle, Burdon esordì in campo musicale poco più che adolescente, ma appena un paio d'anni dopo era già salito al rango di stella internazionale come cantante e leader carismatico dei The Animals. Una formazione spesso ingiustamente dimenticata nell'indicare i gruppi più influenti all'origine del rock, che visse una parabola tanto rapida e travagliata quanto costellata di grandi successi e di prolificità qualitativa.
Una decina di albums e numerosi singoli in appena un lustro di attività, nel corso del quale scalò ripetutamente la vetta delle classifiche britanniche e statunitensi grazie a canzoni divenute in seguito classici immortali, come "Don't let me be misunderstood","We gotta get outta this place" o ancora "It's my life", riadattate nel tempo da moltissimi artisti di ogni estrazione stilistica. Per capirci, Burdon e compagni all'epoca fecero parte della medesima scena di gente come i Rolling Stones, Yardbirds, Cream, ecc, con un seguito per nulla inferiore a quello dei colleghi, sebbene di più breve durata, ed ancora oggi diversi esperti considerano gli Animals la miglior espressione europea di sempre in ambito rhythm'n'blues.
Torniamo al presente ed al nuovo lavoro di Burdon, un'antologia di blues tradizionali che il cantante interpreta spalleggiato da una vera e propria band reclutata per l'occasione.
Magari i moderni aggiustamenti tecnologici avranno contribuito al risultato finale, però va detto che la voce del singer ultrasessantenne si mostra ancora salda ed ispirata, forte di un innato calore e di una naturale sensualità che farà scorrere qualche brivido di nostalgia in coloro che ricordano un magico periodo ormai lontano.
Gli amanti del blues gradiranno senz'altro la varietà del lavoro, visto che sono presenti molte interpretazioni diverse della materia. Ad esempio la title-track è un bel brano old-style con qualche richiamo al gospel, "Kingsize Jones" adotta lo stile funky-jazz di New Orleans, mentre "Red cross store" è un ruvido swamp-blues alla George Thorogood. Ed ancora troviamo il morbido fascino notturno di una "Feeling blue" o l'intensità struggente di un sofferto slow come "GTO", in sostanza è il caso di dire che "Soul of a man" può soddisfare tutti i gusti in fatto di blues e, considerando anche la caratura dell'autore, si può tranquillamente consigliare il disco a chi apprezza il genere.
I più attenti potrebbero notare che talvolta in casi analoghi mi sono mostrato più severo con le vecchie glorie che riemergono dal passato. Burton però almeno ci risparmia il rispolvero dei gloriosi cavalli di battaglia per fare un po'di cassetta a distanza di qualche decade, cimentandosi in una serie di classici neppure suoi con il solo proposito di rendere un sentito omaggio alla grande storia del blues. Siccome non ho motivo di non ritenerlo sincero, questo basta a giudicarlo in modo positivo.
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