Passo dopo passo, ecco che gli
Avantasia, nati come progetto estemporaneo di
Tobias Sammet per uscire dalla routine degli Edguy, toccano il traguardo - che non è niente male - dell'ottavo studio album.
Tocca riconoscere che, a questo punto, un po' di routine ha raggiunto anche queste sponde, visto che il nuovo "
Moonglow" si rivela un discreto album e pur collocandosi tra le migliori proposte che la penna e la mente di
Sammet hanno saputo realizzare, lo fa senza allontanarsi dalla
comfort zone cui gli
Avantasia ci hanno abituati.
Il songwriting, gli arrangiamenti, e lo stesso artwork non presentano, infatti, particolari novità, così come la consueta nutrita lista di ospiti che si affiancano a
Sammet, peraltro con i "soliti" nomi, cui si aggiungono
Mille Petrozza e
Hansi Kürsch (che ad ogni modo avevano già collaborato con gli Edguy) lasciando quindi alla sola
Candice Night il ruolo della new entry.
Ma non è lei il primo guest che incontriamo in apertura, ecco, infatti, i dieci minuti di "
Ghost in the Moon" (briosa, ma con quel piano che ravviva un feeling alla Meat Loaf) sono a totale appannaggio di
Sammet e, pure in questo, si riallacciano a "Mystery of a Blood Red Rose", già opener del precedente "Ghostlights". "
Book Of Shallows" si rivela decisamente più ruvida, e la voce ringhiante e assassina di
Petrozza calza a pennello in mezzo a quelle dello stesso
Sammet, Ronnie Atkins, Jorn Lande e
Hansi Kürsch.
Ed ecco finalmente
Candice Night che veleggia (in coppia con
Sammet) su "
Moonglow", scelta come secondo singolo e che si segnala per le atmosfere eteree ed un approccio ammiccante e easy listening. A proposito di singoli, a seguire è proprio "
The Raven Child", che è stato il primo estratto del disco, e che ci propone
Hansi Kürsch e
Jørn Lande a duettare, assieme all'onnipresente
Sammet, su un brano dal flavour medioevaleggiante.
Il buon trend che si stava delineando, perde però colpi con "
Starlight", una canzone decisamente Rock ma innocua e scontata, e non basta l'intervento di
Ronnie Atkins a raddrizzare le cose. Meglio fa
Geoff Tate su "
Invincible": con il suo strepitoso apporto anche una ballad non particolarmente originale prende valore e cattura l'attenzione.
Tocca poi a "
Alchemy", che ha un passo e un'indole più vicina agli Edguy che agli
Avantasia, con quei suoi
stop & go ma anche a livello di refrain, per un’ affinità che si spezza solo all'altezza dell'assolo di
Sascha Paeth, beh, sempre che non sia opera di
Oliver Hartmann, ospite alla chitarra solista e ai cori.
Non altrettanto avvincente l'avvio tastieristico di "
The Piper at the Gates of Dawn", brano che anche sul piano vocale non riesce a entusiasmare scorrendo via senza particolari sussulti, per quanto un quartetto di cantanti superbi, quale quello formato da
Ronnie Atkins, Geoff Tate, Jorn Lande e
Hansi Kürsch, ci dia davvero dentro.
E se è la luce di
Bob Catley a illuminare "
Lavender", ecco finalmente
Kiske (assieme a "prezzemolino"
Sammet) che da par suo riesce ad ammaliare su "
Requiem for a Dream" che dopo le prime battute introduttive assume la foggia di un'ottima Power Metal song... probabilmente anche l'episodio migliore dell'intero "
Moonglow".
E l'album poteva finire qui, invece in coda troviamo ancora una cover di "
Maniac" (si, proprio quella di Michael Sembello e resa famosa da Flashdance) ben interpretata da
Eric Martin, ma che tutto sommato stride nel contesto e che avrei visto meglio inserita come bonus in un disco degli Edguy.
Ma tant’è,
Sammet l'ha usata per chiudere le danze e ce la teniamo..
... It's a hard won place of mystery, touch it but can't hold it
You work all your life, for that moment in time ...
Metal.it
What else?