Fosche nubi hanno adombrato gli step di avvicinamento all’ascolto del nuovo album dei
Thormesis: una parabola discografica discendente inaugurata dal pur discreto “
Freier Wille - Freier Geist” (2015), un
artwork di copertina a dir poco anonimo, un titolo insopportabilmente privo di inventiva… insomma, premesse che consigliavano tutto tranne l’ottimismo.
Ed il risultato finale?
Il voto l’avrete ormai sbirciato, furbetti che non siete altro, quindi tanto vale giocare a carte scoperte: “
The Sixth”, a mio avviso, va rubricato come (ennesimo) capitolo positivo della carriera dei tedeschi, benché i picchi qualitativi dei bei tempi andati risultino, ahimè, sempre più lontani e sfocati.
Peccato, perché la doppietta iniziale mi aveva positivamente impressionato: l’
opening track “
Sonnen”, cavalcata in pari grado solenne e triste, mette in mostra da subito un
sound pulsante ed un impeccabile
mixing.
La successiva “
Thy Morbid Drunken Ways”, dal canto suo, scatta come un furetto impazzito, per poi assumere un piglio più meditabondo e successivamente imbizzarrirsi di nuovo; un saliscendi emotivo in grado di rimembrare nell’ascoltatore i fasti di “
Von Leere und Tod”, per chi scrive miglior
platter della compagine teutonica.
Da lì in poi, purtroppo, qualcosa s’inceppa: “
Chor der Toten”, a dispetto di un
incipit soffuso, dipana un tappeto strumentale fieramente battagliero nelle intenzioni ma floscio anzichenò al risvolto pratico; “
Zeichen zum Grund” pigia ancora una volta il tasto della magniloquenza, aggiungendo tuttavia all’amalgama un
flavour *
post appena abbozzato che lascia in bocca l’amaro retrogusto dell’occasione persa.
Il trittico finale si muove all’interno del medesimo steccato stilistico: il sognante attacco in tremolo di “
Lichtermeer” chiama addirittura in causa lo
shoegaze degli
An Autumn for Crippled Children, “
One last Tear for Every Burned Soul” mette in mostra la propria svenevolezza sin dal titolo, mentre “
Deadened Skies”, ennesimo episodio in cui dominano tempi medi ed intrecci chitarristici d’impronta epicheggiante, sfoggia un delicato arrangiamento di pianoforte.
Giusto chiarire: di brani brutti, in “
The Sixth”, non se ne scorge traccia. D’altro canto, lo stesso può dirsi della convulsa aggressività e della fiera carica intimidatoria che contraddistinguevano i Nostri in passato.
Imboccare una traiettoria artistica meno spontanea e maggiormente improntata alla melodia non costituisce, almeno per il sottoscritto, peccato da condannarsi a prescindere; il problema, semmai, è che nel nuovo corso dei
Thormesis latitano guizzi vincenti e pura ispirazione compositiva (come peraltro già denunciato dal savio
Dope in occasione del precedente “
Trümmerfarben”).
Con molto mestiere, in ogni caso,
Travos e soci portano a casa la pagnotta.
Lascio decidere ad ognuno di voi se ciò possa bastare o meno; io, per non saper né leggere né scrivere, un ascolto lo concederei…