Ascolto sempre volentieri un album di
Tim Bowness. Il suo è uno stile riconoscibile e ben definito, tradito solo da quel senso di
déjà-vu costante interno alla sua intera produzione (solista e non).
“Flowers At The Scene” vanta come sempre ospiti illustri, più determinanti del solito nella definizione del mood dei singoli episodi. Oltre ai brani minimali e rarefatti (direi “canonici”) alla No-Man - penso a
“Not Married Anymore”, “Borderline” o
“The War On Me” - troviamo infatti sorprese del calibro di
“I Go Deeper”, capace di alternare momenti groveggianti a tentazioni elettroniche o
“It’s The World”, insolitamente ruvida e sinistra per gli standard dell’artista inglese.
Difficile non notare la mano di
Jim Matheos in tracce come
“Rainmark” (una
“Silent Lucidity” del nuovo millennio) o la titletrack, dal gusto smooth jazz. Più defilato invece è l’apporto di
Peter Hammill - storico frontman dei Van Der Graaf Generator - decisivo soprattutto nell’ottima
“Killing To Survive”, ipnotica ma elaborata nella sua semplicità.
“What Lies Here” chiude in punta di piedi l’ennesima opera coerente ed elegante firmata da
Tim Bowness.
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