Era difficile - ma non impossibile - fare peggio di
“Distance Over Time” e
Jordan Rudess non ha raggiunto l’obiettivo per un soffio con il suo nuovo album solista.
“Wired For Madness” esce per
Mascot Label Group ed è un peccato constatare come l’investimento di risorse dell’ottima etichetta olandese non sia bastato ad alimentare la creatività del tastierista americano.
Non che
Rudess ci avesse abituati a full-length particolarmente memorabili (della discografia salverei
“Feeding The Wheel” e poco altro), ma è davvero troppo difficile - per motivi diversi - arrivare in fondo a tracce come la titletrack o
“Just For Today”. Nel primo caso siamo al cospetto di un vero e proprio “collage sonoro”, un muro di tastiere e non solo che spazia dalla fusion al ragtime, dal prog all’heavy, dallo swing all’elettronica, con inserti vocali posticci e anonimi (lo stesso
James LaBrie, ospite insieme a tanti altri, sembra svogliatissimo). Il secondo brano citato è invece l’ennesima, noiosissima ballad pianistica che
Rudess continua a riproporci da anni (e a conti fatti poteva bastare
“Off The Ground”, già più riuscita).
Tralasciamo gli echi dei peggiori Return To Forever in
“Drop Twist”, i tratti emersoniani di
“Perpetual Shine” o il blues “stuprato” di
“Just Can’t Win” e concentriamoci sulla vera “luce in fondo al tunnel" intitolata
“Why I Dream”, dinamica e ben concepita.
Resta solo una domanda: perché?
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