La band di cui si discetta quest’oggi, come leggerete, si chiama
Drown, ma prima di abbracciare tale
monicker rispondeva al nome di
Slow.
Un manifesto programmatico.
Già, perché l’ennesima creatura partorita dalla mente di
Markov Saroka (artista underground di origine ucraina già con
Tchornobog ed
Aureole) non fa nulla, ma proprio nulla, per celare un’identità stilistica votata anima e corpo al
funeral doom più ortodosso, integerrimo, austero… e, se vogliamo, scolastico.
L’aderenza ai canoni del genere di “
Unsleep” lambisce i confini dell’intransigenza: le chitarre disperate e cantilenanti, l’esecuzione priva di qualsivoglia svolazzo o sfoggio, gli arrangiamenti ridotti all’osso, i ritmi immancabilmente pachidermici, il
growling cavernoso, la produzione scarna ed opaca… nulla, ma proprio nulla di questa ristampa (parliamo, infatti, di un disco del 2014 e di un progetto ormai defunto) potrà sorprendere i -pochi, ahimè-
fans della branca
metal in esame.
Ciò non vuol dire, tuttavia, che non saprà stuzzicarne i palati.
Coloro i quali concederanno tempo e pazienza ad “
Unsleep” verranno premiati dalle atmosfere claustrofobiche, disperate ed inquietanti al tempo stesso che
Saroka riesce ad evocare.
Brani che entrano pian piano sottopelle (si sentano le linee di basso dell’
opening track “
Drowned I: Stem”), che ti conducono minuto dopo minuto lungo scoscese spirali di depressione (la discesa negli abissi di “
Drowned III: Kuril Kamchatka”), che ti avvolgono in coltri caliginose e soffocanti di malessere esistenziale (“
Drowned V: Mariana” su tutte)... a ben vedere, proprio le sensazioni che un buon album di
funeral doom dovrebbe garantire.
Nessun appiglio consolatorio, nessuno spiraglio di luce, nessuna concessione a sonorità
mainstream, nessun barlume di speranza: questa è la ricetta dei
Drown, prendere o lasciare.
Io prendo.
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