È difficile ascoltare i
Voyager senza pensare ai Duran Duran. Sembra incredibile, ma la voce di
Danny Estrin ha più di un’affinità con quella - più nota - del cantante britannico
Simon Le Bon (
come già evidenziato in tempi non sospetti dal frontman dei Deftones).
Quello degli australiani è un progressive metal estremamente accessibile, figlio legittimo del movimento
new romantic nelle linee vocali (
“Now Or Never”, “Sign Of The Times”) ma altrettanto moderno nelle scelte strumentali (non mi sembra casuale la scelta di
Einar Solberg dei
Leprous come guest nel singolo
“Entropy”).
I momenti più heavy (
“Reconnected”, “Water Over The Bridge”) riportano
“Colours In The Sun” su binari più propriamente metal, anche se la “tanta voglia di 80s” regna sovrana nelle riuscite ed essenziali
“Brightstar” e
“Saccharine Dream”.
Una band sicuramente talentuosa e interessante di cui però non riesco a innamorarmi…
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