La costanza (o testardaggine) è un attributo che in casa
Paganizer conoscono bene. Undici album in studio, una miriade di split, EP e compilation senza mai letteralmente uscire dal ristretto novero dei fan più die-hard del death metal svedese.
Certo parliamo pur sempre di una band dalle sonorità derivative da ciò che hanno inventato decenni fa i mostri sacri
Dismember, Grave ed
Entombed, ma a è pur sempre vero che ad altri gruppi similari, sorti anche in tempi più vicini a noi, è decisamente andata meglio del quartetto originario di Gamleby ottenendo visibilità e riscontri maggiori.
Detto questo il contenuto di
“The tower of the morbid” è un quadratissimo lavoro sfornato ai sensi della legge del Boss HM-2, coi suoni delle chitarre settati in pieno mid-range, con l’immancabile presenza del d-beat in alcune canzoni e quel tocco melodico che caratterizza queste produzioni.
La differenza la fa l’ispirazione da cui dovrebbero attingere le composizioni finite all’interno del cd, perché se tecnicamente non c’è nulla da dire (i
Paganizer la materia la conoscono alla perfezione ci mancherebbe altro!) e alcuni brani tirano che è una bellezza (v. l’opener
“Flesh tornado”, “They came to die”, “la stessa titletrack), si avverte la mancanza, l’assenza di quel quid tale da far fare il salto di qualità all’intero “
The tower of the morbid”.
Usando dei termini oggi in voga, i
Paganizer, volenti o nolenti, non ci pensano proprio da uscire dalla propria zona di comfort
Alla fine ci resta fra le mani un lavoro compatto, fortemente attaccato alle proprie radici “ideologiche” che vi farà passare piacevolmente una quarantina di minuti in compagnia di buona musica, ma che non so quante volte ripasserà sul vostro lettore nei prossimi mesi.
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