Gran bel debutto quello dei bergamaschi
Moon Reverie, non c’è che dire!
La band ruota intorno alla carismatica figura del virtuoso chitarrista
Luca Poma il quale, dopo aver trascorso una vita a coverizzare perfettamente “sua maestà” Yngwie Malmsteen (e vi posso garantire di persona sulla sua abilità con lo strumento, per averlo visto dal vivo una miriade di volte nel primo decennio del nuovo millennio, essendo concittadino del buon Luca), e, dopo aver collaborato con artisti di calibro internazionale, tra cui citiamo, Uli Jon Roth, Kee Marcello e Vinnie Moore, decide finalmente di formare una sua band, e lo fa reclutando dei musicisti di tutto rispetto. Difatti, spiccano alla sezione ritmica
Manuel Togni (già batterista, tra gli altri, dei Mortado, ex-Aleph, ex-Spellblast ecc..) e
Michele Locatelli (bassista degli Anticlockwise), mentre le tastiere vengono affidate all’ottimo
Nicola Leonesio (al sottoscritto già noto per la sua militanza negli amatissimi Progeny, meravigliosa cover-band dei Dream Theater, oggi purtroppo scioltasi ma che, per quasi 20 anni, ha infiammato i locali della Lombardia), infine dietro il microfono troviamo il bravo
Luca Pozzi.
Insomma, conoscendo quasi del tutto la line-up della formazione orobica, ero alquanto fiducioso circa la buona riuscita dell’esordio discografico della band dal punto di vista tecnico e, considerando il background musicale di
Luca Poma, era praticamente ovvio che la proposta dei
Moon Reverie avrebbe coinciso con un disco dalle chiarissime influenze neoclassiche, tipicamente Malmsteeniane, praticamente presenti in quasi ogni traccia (emblematico il singolo
Say Forever, che sembra una versione moderna di “You don’t remember, I’ll never forget”), tuttavia ciò che mi incuriosiva particolarmente, era capire come i nostri se la sarebbero cavata con il processo di song-writing e in che modo avrebbero evitato di rimanere impantanati nelle sabbie mobili di un genere che, come tanti altri, appare ormai quasi del tutto saturo. Ed è bello ammettere che probabilmente è stata proprio questa la vera e propria nota lieta del disco: le composizioni, nonostante le influenze che vanno dal metal neoclassico ad un hard rock ottantiano, suonano inaspettatamente fresche, grazie proprio alle capacità dei nostri che vengono messe al servizio dell'intero lavoro e che spaziano dai barocchismi delle tastiere (vedasi tracce come
Say Forever o
On The Edge), ad una sezione ritmica mai doma, caratterizzata spesso dall’utilizzo della doppia cassa e che in un brano come
The Raven è assoluta protagonista, altre volte invece è la melodia a prevalere come nel caso di
Forgiveness, veloce, potente ed elegante al tempo stesso, della semi-ballad I
n My Heart o dell’accoppiata
Far Above/End Of Times, la prima acustica in cui risalta la voce di
Luca Pozzi, la seconda su ritmiche decisamente più sostenute (e qui va sottolineato ancora una volta il gran lavoro di
Manuel Togni che a mio avviso è uno dei drummer italiani migliori in circolazione) che conferisce quel pizzico di aggressività che non guasta mai ad un amante del metal. Tuttavia, come si diceva all’inizio, la vera protagonista del disco è la Fender di
Poma il quale, col suo strumento, costruisce le trame di ogni singolo pezzo e lo fa con la consueta bravura che l’ha sempre contraddistinto e con il suo indubbio gusto per le composizioni melodiche, influenzate tanto dalla musica classica, quanto dall’hard rock e dal blues, ma rese attualissime, ne sono un fulgido esempio canzoni come
I Will Come For You,
Eyes,
First And Last ma soprattutto la conclusiva
Moon Reverie Suite, un pezzo di 9 minuti che racchiude perfettamente l’essenza di questo debut che, a conti fatti, si rivela davvero molto positivo e godibilissimo.