L’Australia va matta per il metal estremo, questo lo sapevo di già da quando i mitici
Destroyer 666 hanno cominciato a muovere i primi passi devastanti.
Ora arrivano al terzo album sotto le braccia accoglienti della label francese
Season Of Mist questi aussie dopo due album autoprodotti, un disco che puzza di metal estremo europeo.
L’opener “
Dread rebirth” ci accoglie con un arpeggio dissonante e pochi tocchi di batteria; il tutto poi si amplifica in un possente mid tempo di puro blackened death metal.
Il dualismo vocale growl/ scream viene sublimato dai cambi di tempo repentini che vanno da sfuriate, a tempi più cadenzati ma non per questo togliendo l’aggressività alla composizione; bella la parte centrale arpeggiata prima del solo.
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New horns” ci sbatte al muro con qualcosa che ricorda i
Behemoth più recenti; apertura cadenzata con chitarre arpeggiate e voce filtrata maligna, poi ecco arrivare l’attacco possente in growl elettrico e malsano.
Il brano prende una piega veloce in up tempo, una sorta di cavalcata nerissima con interventi in blast beats e screaming; il brano è potente con la produzione che aiuta massicciamente e che fa brillare gli strumenti.
Con “
Unparrallel gateways to higher obliteration”, la band è capace di offrire la quiete prima della tempesta grazie all’uso di chitarre arpeggiate, ma è cosa da poco, perché subito arriva l’attacco possente, devastante con un growl cavernoso, chitarre iperdistorte e compresse e tempi rapidi nei cambi che vanno da sconquassanti mid tempo a sfuriate feroci.
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The cape of storms” mi rende basito, perché su una struttura solida di death metal cadenzato la band piazza la sorpresa.
Ovvero un’apertura in puro stile hard glam, il riffone è inconfondibile come la cadenza, sembra fuori contesto e lo è ma invece s’incastra alla perfezione.
“
Mind killer” apre con urla disumane, blast beats e un tempo medio con il basso compresso ben in vista; le vocals in growl vengono adoperate bene sia nelle parti più lente che nelle sfuriate con riffing serrati e un briciolo di melodia.
La sensazione di essere in un vortice ritmico la da la batteria ben calibrata con ritmi percussivi e devastanti.
Ora ecco l’ultima sorpresa che non ti aspetteresti da una band estrema; l’ultimo brano è un blues, si avete capito bene, un blues di quasi tre minuti dove ci sono chitarre pulite e una voce rasposa e dolente, l’unica base ritmica incredibile, sono dei cucchiai, ma è un blues autentico.
Un disco che non rivoluzionerà mai il metal più estremo, ma il suo dovere lo fa; il quartetto australiano pur guardando alla matrice europea ha personalità da vendere.
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