Io andrei subito dritto al punto: “
TItans of creation” spazza via senza troppi problemi tutti e tre gli ultimi album in studio dei
Testament, e se 2+2=4, va da sé che questo significa che è il miglior album della band fin dai lontani tempi di “
The gathering” (1999). So già che qualcuno di voi ora starà pensando che sono esagerato, ma ovviamente cercherò di spiegarvi il motivo di questa mia dichiarazione, lo ammetto, abbastanza forte.
Innanzitutto la cosa che mi è piaciuta di più di quest’album, fin da subito, è che finalmente i nostri sono tornati a fare quello che gli riesce meglio, e cioè suonare puro thrash metal. Scordatevi, quindi, i suoni groove metal degli ultimi tempi, ridondanti e ciotti ciotti, sicuramente specchietto per le allodole per i pischelli così abituati a produzioni iper pompate, ma assolutamente lontani dalla quintessenza della band. E scordatevi anche il death metal che spesso e volentieri, negli ultimi anni, andava a ‘sporcare’ il sound del gruppo. Complice anche la produzione pulita e cristallina, ma non per questo meno potente, ad opera di
Peterson e
Billy e il mastering di
Andy Sneap, il sound è tornato ad essere quello dei bei tempi, ovviamente senza scordarsi che siamo nel 2020, quindi chitarre taglienti, batteria e basso che pompano e la voce dell’indiano potente e fiera sopra tutto il resto.
Ma non finisce certo qui, ovviamente. La cosa più importante è che la band è sì tornata a thrasheggiare alla grande, ma soprattutto ha infarcito di nuovo i brani di quelle melodie che li hanno sempre resi differenti da tanti altri loro colleghi, e il merito di questo è tanto di
Skolnick che di
Chuck, che ha messo da parte il growl quasi del tutto ed è tornato a cantare con la sua caratteristica e particolare voce. Il quartetto di brani sparati all’inizio sono una vera goduria per le orecchie, c’è tutto quello che possiamo aspettarci dal gruppo di Oakland, e cioè pezzi tirati, assoli in grande stile, armonizzazioni, melodie, cambi di tempo. Insomma, già questi quattro brani basterebbero all’acquisto del disco, tanto alto è per me il loro livello.
L’opener “
Children of the next level” e “
Night of the witch” le conoscerete già da tempo in quanto sono state date in pasto dalla label agli impazienti fans già da un mesetto, ormai. Delle due ho apprezzato senza dubbio di più la prima, una killer song come non ne scrivevano da tempo, ma anche la seconda non mi dispiace, grazie anche alla variazione centrale che la rende più varia, con
Peterson che ruba la scena al compare con il suo scream. “
Dream deceiver” spazza via tutto, arricchita da un ottimo solo di
Alex, dal lavoro come sempre impeccabile di
Hoglan e
Di Giorgio, sempre più alieni, oltre che da un ritornello catchy come piace a noi, che sa molto di anni ‘80. Furia selvaggia, invece, per “
WW III”, secondo brano del disco, che presenta un riff portante che ci catapulta di nuovo in pieni eighties e
Billy ancora una volta sugli scudi con una prova strepitosa. Sembra davvero che i nostri siano tornati indietro con gli anni, e sentire ancora una volta i refrain melodici a cui ci avevano abituati non può che far piacere.
Il blocco centrale, è bene ammetterlo, non è del tutto all’altezza dello scoppiettante inizio. Questo non significa che i pezzi siano brutti, stiamo parlando comunque di alto livello, ma forse i primi quattro brani (e i finali, come vedremo a breve) sono talmente scoppiettanti da offuscare leggermente i quattro della parte centrale dell’album. Più che altro, improvvisamente, sembra come se i nostri perdano la bussola, e inseriscano quattro pezzi che presi singolarmente non sono affatto male, ma legano poco con quanto proposto prima e quanto proposto dopo. Si passa dall’oscuro mid tempo di “
City of angels”, alla orientaleggiante “
Ishtars gate", la migliore di questo blocco, alla progeggiante “
Symptoms”, dominata da
Skolnick, alla pestona “
False prophet”, per me la meno interessante dell’intero lavoro.
Durante il primo ascolto mi era salita una disperazione incredibile, temevo che dopo aver sparato le cartucce migliori il disco andasse inesorabilmente calando verso la fine. Fortunatamente all’improvviso si riaccende la fiamma a partire da “
The healers”, un brano frizzante, ritmico, vario, ancora una volta ricco di melodie vocali, pur se circondate da riff pesantissimi. “
Code of Hammurabi”, dopo “
Children of the next level” e “
WW III”, è forse il mio brano preferito. Stiamo parlando di un altro pezzo incredibile, introdotto da un giro ipnotico di basso, prima che i riffoni di chitarra facciano decollare tutto e richiamino le melodie orientali di cui prima. Voglio rimarcare, di nuovo, l’ottimo refrain, che ti si stampa in testa al primo ascolto, e la prova magistrale di
Billy, mi sono quasi commosso a sentirlo cantare di nuovo senza growl, tanto che mi sono chiesto per l’ennesima volta perché si ostinasse a farlo negli ultimi anni! Ma non è finita qui, c’è ancora un brano da ascoltare, se tralasciamo “
Catacombs” che chiude sì l’album, ma è in realtà una sorta di epico outro strumentale. Parlo di “
Curse of Osiris”, che prosegue sulla falsa riga del precedente e dei primi quattro, quindi puro thrash metal di alto livello, violento e veloce, con tanto di intermezzo blackoso, che tanto piace a
Peterson. Come già detto in questo disco le sonorità groove metal sono per fortuna centellinate, così come i suoni forzatamente duri a più non posso, è la melodia a farla da padrona, anche se in questo caso i nostri decidono di pestare duro per finire di annichilire l’ascoltatore.
Cosa può mai mancare ad un album che, abbiamo visto, è strepitoso? Una copertina della Madonna? Aehm, no, c’è anche quella! L’artwork, infatti, è un pregevolissimo dipinto di
Eliran Kantor che rappresenta tre titani intenti a plasmare materia prima per la costruzione dei pianeti, uno dei quali è già a buon punto in basso alla cover. Davvero suggestiva, perfetto corollario alla potentissima musica contenuta all’interno dell’album e alla monumentale prova della band tutta. “
Titans of creation” piace e convince, ci presenta una band in forma smagliante, e poco importa per quel leggero calo centrale, nel complesso fila tutto via liscio come non mai. E se dei precedenti album ti restavano pochi brani in mente, sono sicuro che questa volta, anche se servirà qualche ascolto in più, di questo lavoro continueremo a parlare anche tra qualche anno, come è stato per “
The gathering”!