“E' da un po' che tengo d'occhio i Voodoo Six e hanno prodotto un nuovo album favoloso, davvero promettente. È fantastico poter sostenere il vero talento emergente britannico”.
Parole di
Steve Harris eh, non di un
carneade qualunque e con un avallo del genere (talmente convinto da volerli come
opening band dei suoi British Lion), appare chiaro quanto sia “rumoroso” il
buzz attorno al nuovo lavoro di questo quintetto londinese, capitanato da
Tony Newton (già collaboratore, in “cabina di regia”, di Iron Maiden, British Lion, Airrace) e giunto alla sesta fatica discografica.
Forte di un nuovo contratto con l’etichetta californiana
Explorer1 Music il gruppo (di cui, per la cronaca, ha fatto parte pure
Richie Faulkner dei Judas Priest), con l’ingresso di
Tom Gentry (GUN,
Marco Mendoza) alla chitarra e la conferma dietro al microfono di
Nik Taylor-Stoakes (entrato in formazione nel precedente “
Make way for the king”), sforna un dischetto piuttosto godibile, magari non proprio tale da indurre l’astante a gridare al miracolo artistico o “strapparsi i capelli” (operazione, quest’ultima, che mi vedrebbe comunque in grande difficoltà …), ma certamente di buon livello, alimentato dalla solida tradizione dell’
hard n’ heavy, impastata da una certa “modernità” e varietà espressiva.
“
Simulation game” è, dunque, un disco abbastanza sfaccettato, che apre le ostilità con il fosco dinamismo di “
The traveller”, per poi passare alle atmosfere ancora più sfarzose e oscure di “
Gone forever” e completare la prima terna del programma con una “
Liar and a thief” dal
groove denso e dalla melodia decadente.
“
Inherit my shadow” irrobustisce ulteriormente i toni, alternandoli sapientemente ad aperture rarefatte ed evocative, seguita da una straniante (
doom-prog?) “
Last to know” e da una “
Lost” che attizza l’attenzione materializzando nell’immaginario
rockofilo addirittura una sorta di
jam-session tra Alice In Chains e Queensryche.
La ballata “
Never beyond repair”, vagamente disarticolata, non desta particolari impressioni emotive, mentre “
Brake” e “
Control” lambiscono con discreti risultati territori
power-metal e le vibranti pulsazioni di “
One of us” scrivono i titoli di coda su una raccolta sonora che piace, non lesina spunti espressivi intriganti e tuttavia appare complessivamente un po’ troppo incostante per giustificare appieno l’entusiasmo del celebre mentore dei
Voodoo Six.
Possibile che il leggendario
Steve, nelle vesti di
talent-scout, abbia esagerato? Io credo sinceramente di sì e ora non mi rimane che attendere con serenità l’eventuale lapidazione da parte dei suoi tanti irriducibili e fedelissimi discepoli …
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