Gli
Spellbook fino ad un paio di anni fa si chiamavano Witch Hazel. Con questo nome hanno pubblicato tre album: "Forsaken remedies" (2012), "Nocturnity" (2015) e "Otherwordly" (2018). Successivamente ad un rimpasto della line-up ed ispirandosi al titolo di una loro vecchia canzone, hanno deciso di adottare il moniker attuale e di far uscire questo "
Magick & mischief" per
Cruz Del Sur.
Il quartetto di York, Pennsylvania, è settantiano fino al midollo. Il loro nume tutelare sono i Black Sabbath primi anni '70, con l'aggiunta di saltuarie vibrazioni orrorifiche alla Pentagram e una vaga attitudine proto-metal sul genere Pagan Altar. Ma soprattutto Osborniani, anche perchè il timbro del cantante
Nate Tyson ricorda in maniera inequivocabile quello del buon vecchio "madman" di Birmingham. La band che mi è subito venuta in mente ascoltando questo disco è quella degli Orchid, quindi ottimi brani doom/dark-rock ma con attitudine ed atmosfera che tende al derivativo.
Vi risparmio le solite considerazioni sulla annosa diatriba tra innovazione/originalità e ispirazione/riadattamento, visto che ciascuno ha la sua opinione in merito, parlando invece di un lavoro che presenta una serie di brani ficcanti e ben congegnati. A cominciare dalla sostenuta e puramente hard "
Wands to the sky", dove il metro di riferimento è nemmeno troppo sorprendentemente quello dei Deep Purple. Una song robusta ed energica, rocciosa e senza fronzoli. Anche la groovy ed anthemica "
Black shadow" mantiene alta la tensione, pur se cominciano ad evidenziarsi coloriture ombrose riconducibili ai Sabs.
Pienamente dark-rock la lunga e dinamica "
Not long for this world", cavalcata che comprende passaggi rallentati e riffoni pre-nwobhm molto epoca "Sabotage", mentre "
Motorcade" vanta un taglio più metallico, con un basso ben pompato e chitarra Saxon-iana, ma cantata da Ozzy anzichè da Biff.
Tesa ed oscura "
Amulet/Fare thee well", di gran gusto melodico (a me ricorda qualcosa degli Angelwitch), invece la chiusura è affidata alla traccia più estesa e sperimentale ("
Dead detectives") dove gli
Spellbook esprimono maggiore personalità autonoma, compresa una parte iniziale crooner-blues notturna che evoca i gialli "hard-boiled" di Dashiell Hammett/Raymond Chandler, che poi si trasforma in un solido metal maideniano per concludersi con una lunga digressione doomeggiante slow-atmosferica. Gran bel botto finale.
Disco colorito, vario, con brani diversificati e tutti incisivi per un motivo o per l'altro. Certamente i richiami alle band citate sono piuttosto marcati, ma gli
Spellbook li elaborano comunque in maniera sufficentemente fresca e stuzzicante. Dopo ripetuti ascolti, continua a piacermi. Ottima cosa.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?